Antonio
Pellegrino, docente di lettere, professore di storia e filosofia, poeta e
scrittore sannita piuttosto noto, ha
recentemente pubblicato la sua ultima opera “Lontana è la
primavera“, una raccolta di poesie, comprese fra il 2011
e il 2012, edito dalla Book Sprint Edizioni è reperibile in ogni libreria
italiana, previa prenotazione da catalogo, e in tutte le librerie on line anche
nel formato e-book. Il professor Pellegrino inizia a
dedicarsi all’arte della scrittura sin dai lontani anni dell’adolescenza quando
comincia ad avvertire i primi segnali di quella vena evocativa che gli avrebbe
tenuto compagnia negli anni successivi e fino a oggi. Le sue opere, fin qui
pubblicate, attraversano vari generi espressivi: poesia, romanzo, racconto,
saggio. Benché la ricca vena narrativa, emerge una sua naturale
predilezione per il linguaggio in versi attraverso il quale gli riesce più
spontaneo manifestare l’evolversi del suo spirito nel tempo e in
contemporaneità con gli eventi. La prima pubblicazione “L’ultimo rito”
arriva relativamente tardi, nel 1994, ma raccoglie il meglio da lui prodotto a
partire dagli anni della prima giovinezza. La poetica del Pellegrino –
come emerge anche dall’ultima delle sue opere – parte dal
presupposto che “è dalla
rivolta del poeta al rischio
incombente del plagio collettivo, è
dalla riscoperta della sua sacerdotale funzione, rispetto alla sacralità
dell’individuo, che si può dare inizio a un modo diverso di essere
dell’uomo, a una umanità nuova, a una fase rigenerata della storia, della
cultura e della civiltà”. Al fine
di capire e comprendere al meglio il suo pensiero, abbiamo deciso di incontrare
il poeta e scrittore sannita il quale si è reso disponibile a rispondere ad
alcune nostre domande.
Perché il titolo “Lontana è la primavera?
Il titolo fa emergere un tema e sintetizza già nell’immagine di copertina l’intero contenuto dell’opera. La primavera che appare ancora lontana fa pensare alla distanza abissale che ancora esiste tra il desiderio di una libertà autentica dell’individuo e il rischio di plagio collettivo da cui è continuamente minacciato ad opera dei sistemi culturali, politici, religiosi, economici e sociali dominanti. Ma nel titolo stesso sono mimetizzate la speranza e la fede in un ondo migliore possibile.
Si identifica in un particolare poeta o in un periodo letterario
Se qui si tratta solo di esprimere un parere, le mie preferenze vanno al periodo del decadentismo francese e quindi a Baudelaire, Verlaine e Rimbaud, ma con un occhio rivolto anche alla grande tradizione del verso russo, a Esenin, a Achmatova in particolare. Non ho mai amato identificarmi in qualcuno o qualcosa. Salvo il rispetto dovuto ai grandi poeti – per i quali la mia stima non manca – ho sempre preferito tenermi avulso da modelli per consentire al mio Io di esprimersi in pienezza di libertà, al di là di schemi precostituiti.
Le risulta che ci sia attenzione per la poesia in Italia?
Mi risulta l’esatto contrario, mi risulta che il poeta e la poesia – se si escludono rarissime eccezioni – sono relegati nella solitudine più assoluta, sono poco seguiti, sono poco compresi. Per alcuni i poeti e la poesia sono troppo vicini all’essere, sono profetici e quindi sono scomodi. La grande editoria, inoltre, consente l’accesso solo ai grandi nomi – quelli già noti – non c’è spazio per le novità, per i nuovi talenti. Un aiuto, sia pure costoso, sotto certi aspetti, sono le piccole Case Editrici, poiché consentono agli esordienti e agli emersi un primo e timido approccio ai canali della visibilità.
Quali le cause della distanza dei lettori dalla poesia?
Parte della risposta mi sembra già contenuta nella mia precedente. Dovrei ripetermi, ma mi esimo dal farlo. Aggiungo, tuttavia, che la maggiore responsabilità della distanza fra i potenziali lettori e la poesia spetta, in gran parte, alla scuola che è stata ed è ancora veicolo di modelli formativi obsoleti rispetto al grande pensiero poetico; la scuola non suscita emozioni, non lavora per individuare le risorse evocative e i talenti, ma inibisce lo spirito profondo degli studenti attraverso processi formativi fondati, in gran parte, sull’apprendimento enciclopedico, mnemonico, a volte; la scuola conduce, a volte, all’odio per la poesia, raramente si fa laboratorio di approccio alla versificazione, non accede allo spirito e alle potenzialità evocative delle persone. Relativamente all’editoria nel settore si è già accennato. Necessiterebbe una grande riconversione culturale, per avvicinare i lettori al poeta e alla poesia, che dovrebbe coinvolgere l’intera società in tutti i suoi apparati sia istituzionali che privati: il poeta viene visto ancora come un vanesio, un essere solo e fatiscente, un individuo avulso dal mondo, incapace di agire sui processi di cambiamento dei sistemi.
Quale funzione sociale, oltre che culturale, attribuisce, dunque, al poeta e alla poesia?
Per me il poeta è il sacerdote della nuova ritualità, è colui che si conosce e conosce, è colui dal quale solamente possono partire messaggi profondi di cambiamento. Il poeta solamente conosce l’essere nella sua essenza più profonda e può fare da guida verso la liberazione degli individui dalla schiavitù della cultura delle sistemiche omologazioni.
Quale ritiene che sia il tema fondamentale della sua poetica?
Fondamentalmente uno, quello che mi sta veramente a cuore: la ricerca dell’io vero, della natura vera di se stessi, della propria essenza, del luogo della salvifica solitudine, dell’identificazione della propria irripetibilità (il contrario della cultura delle omologazioni). Quell’Io io lo definisco il mio Tu, il mio illustre sconosciuto, l’estraneo, il diverso da me, la meta misteriosa da raggiungere per “essere veramente”.
Lei si ritiene, dunque, molto presente nei suoi versi. Esclude, allora, che la sua poesia sia portatrice anche di valori oggettivi, di valori posti al confine della visione che lei ha di sé?
Il mio tentativo è stato sempre quello di vedere vedendomi, per unire a me il mondo e le cose, gli eventi; il mio tentativo – non so quanto riuscito o quanto intuibile dal lettore – è quello di vedermi nelle tutto e vedere in me il tutto; il mio tentativo è quello di cogliere attraverso me l’anima cosmica di cui siamo frammenti, come, con più evidenza, affermo in qualche mio componimento contenuto nell’ultima silloge.
La ringraziamo per la sua disponibilità e le auguriamo un successo di critica e di vendite di “Lontana è la primavera”.
Gianna Sanfelice
(collaboratrice del Sito Web “Vita da donna)
Perché il titolo “Lontana è la primavera?
Il titolo fa emergere un tema e sintetizza già nell’immagine di copertina l’intero contenuto dell’opera. La primavera che appare ancora lontana fa pensare alla distanza abissale che ancora esiste tra il desiderio di una libertà autentica dell’individuo e il rischio di plagio collettivo da cui è continuamente minacciato ad opera dei sistemi culturali, politici, religiosi, economici e sociali dominanti. Ma nel titolo stesso sono mimetizzate la speranza e la fede in un ondo migliore possibile.
Si identifica in un particolare poeta o in un periodo letterario
Se qui si tratta solo di esprimere un parere, le mie preferenze vanno al periodo del decadentismo francese e quindi a Baudelaire, Verlaine e Rimbaud, ma con un occhio rivolto anche alla grande tradizione del verso russo, a Esenin, a Achmatova in particolare. Non ho mai amato identificarmi in qualcuno o qualcosa. Salvo il rispetto dovuto ai grandi poeti – per i quali la mia stima non manca – ho sempre preferito tenermi avulso da modelli per consentire al mio Io di esprimersi in pienezza di libertà, al di là di schemi precostituiti.
Le risulta che ci sia attenzione per la poesia in Italia?
Mi risulta l’esatto contrario, mi risulta che il poeta e la poesia – se si escludono rarissime eccezioni – sono relegati nella solitudine più assoluta, sono poco seguiti, sono poco compresi. Per alcuni i poeti e la poesia sono troppo vicini all’essere, sono profetici e quindi sono scomodi. La grande editoria, inoltre, consente l’accesso solo ai grandi nomi – quelli già noti – non c’è spazio per le novità, per i nuovi talenti. Un aiuto, sia pure costoso, sotto certi aspetti, sono le piccole Case Editrici, poiché consentono agli esordienti e agli emersi un primo e timido approccio ai canali della visibilità.
Quali le cause della distanza dei lettori dalla poesia?
Parte della risposta mi sembra già contenuta nella mia precedente. Dovrei ripetermi, ma mi esimo dal farlo. Aggiungo, tuttavia, che la maggiore responsabilità della distanza fra i potenziali lettori e la poesia spetta, in gran parte, alla scuola che è stata ed è ancora veicolo di modelli formativi obsoleti rispetto al grande pensiero poetico; la scuola non suscita emozioni, non lavora per individuare le risorse evocative e i talenti, ma inibisce lo spirito profondo degli studenti attraverso processi formativi fondati, in gran parte, sull’apprendimento enciclopedico, mnemonico, a volte; la scuola conduce, a volte, all’odio per la poesia, raramente si fa laboratorio di approccio alla versificazione, non accede allo spirito e alle potenzialità evocative delle persone. Relativamente all’editoria nel settore si è già accennato. Necessiterebbe una grande riconversione culturale, per avvicinare i lettori al poeta e alla poesia, che dovrebbe coinvolgere l’intera società in tutti i suoi apparati sia istituzionali che privati: il poeta viene visto ancora come un vanesio, un essere solo e fatiscente, un individuo avulso dal mondo, incapace di agire sui processi di cambiamento dei sistemi.
Quale funzione sociale, oltre che culturale, attribuisce, dunque, al poeta e alla poesia?
Per me il poeta è il sacerdote della nuova ritualità, è colui che si conosce e conosce, è colui dal quale solamente possono partire messaggi profondi di cambiamento. Il poeta solamente conosce l’essere nella sua essenza più profonda e può fare da guida verso la liberazione degli individui dalla schiavitù della cultura delle sistemiche omologazioni.
Quale ritiene che sia il tema fondamentale della sua poetica?
Fondamentalmente uno, quello che mi sta veramente a cuore: la ricerca dell’io vero, della natura vera di se stessi, della propria essenza, del luogo della salvifica solitudine, dell’identificazione della propria irripetibilità (il contrario della cultura delle omologazioni). Quell’Io io lo definisco il mio Tu, il mio illustre sconosciuto, l’estraneo, il diverso da me, la meta misteriosa da raggiungere per “essere veramente”.
Lei si ritiene, dunque, molto presente nei suoi versi. Esclude, allora, che la sua poesia sia portatrice anche di valori oggettivi, di valori posti al confine della visione che lei ha di sé?
Il mio tentativo è stato sempre quello di vedere vedendomi, per unire a me il mondo e le cose, gli eventi; il mio tentativo – non so quanto riuscito o quanto intuibile dal lettore – è quello di vedermi nelle tutto e vedere in me il tutto; il mio tentativo è quello di cogliere attraverso me l’anima cosmica di cui siamo frammenti, come, con più evidenza, affermo in qualche mio componimento contenuto nell’ultima silloge.
La ringraziamo per la sua disponibilità e le auguriamo un successo di critica e di vendite di “Lontana è la primavera”.
Gianna Sanfelice
(collaboratrice del Sito Web “Vita da donna)