“Itinerario verso l’io, ha in sé tanti spunti, tante sollecitazioni, tante problematiche, ed è come se fosse un annuncio di ulteriori prove narrative. A me così è sembrato. Dalle pagine che Antonio ha scritto nasce l’obbligo per le nuove pagine e per le nuove prove. Se qualcuno volesse interpretare quello che io sto dicendo, a proposito delle opere di Antonio Pellegrino, come un manifesto di narcisismo, cioè Antonio che riconduce a se stesso e a un proprio protagonismo tutta la vita, tutto il reale, farebbe opera offensiva. Qui non c’è narcisismo, qui c’è sofferenza, qui non c’è facilità. Il rischio è, ad esempio, di ascoltare e leggere i versi di “Immacolata solitudine” come versi e poesie facili. Non lo sono in nessun modo. Vi è sempre la descrizione dei pericoli che incombono sulla vita dell’essere, del nulla che è sempre davanti a ognuno, davanti all’essere, della banalità, della ovvietà che può soffocare la vita naturale universale e la vita dello spirito. Di fronte a questa consapevolezza, non è una presunzione del poeta e del pensatore che si pone davanti e sembra dire “Io difendo me stesso e sono sicuro di sconfiggere i pericoli che mi sono innanzi”. Egli si assume la partita come una partita complessa, difficile e dice (ecco il tema della solitudine che ricorre): “Io nella mia coscienza, nella mia responsabilità di pensiero e di poesia affermo la necessità di non piegarmi, affronto la difficoltà dell’impresa, non voglio farmi schiacciare, la solitudine la voglio recuperare come verità di me o almeno come tensione mia alla verità per potere tornare nel mondo, per stare poi nel mondo, non per negare il mondo”. Anche a questo riguardo sarebbe riduttivo leggere i componimenti dell’autore come componimenti di chi si isola per dire un “no” al mondo e chiudere la porta della realtà. Questo pensiero profondo e questa intuizione, anche questa esplosione di una verità che non si può dimostrare ma si deve vivere, è in funzione di un ritorno nel mondo come una esistenza piena, ricca, ricca della propria responsabilità, della propria autonomia, della propria libertà interiore.
La spiritualità che aleggia nell’insieme delle opere di Antonio è la spiritualità intesa come co-scienza, scienza di sé ma per andare poi oltre di sé, per andare in una ricchezza recuperata che solo la poesia può fare, che solamente essa può non solo percepire ma confermare. Sono questi spunti di riflessione che ricavo da una lettura così coinvolgente e direi così, negli anni, coerente senza essere stancante e senza essere automatica, senza essere ripetitiva.
Come Antonio prende le distanze dalle cose per arricchirsi dell’esperienza diretta e spirituale così anche ognuno di noi, quando legge qualsiasi cosa, è bene che sia critico. Credo che lui stesso, l’autore, ce lo chiede, ci chiede di essere critici, di esercitare a nostra volta, come anche lui ha fatto, una esercitazione di pensiero e di profondità.
E allora, anche quando (qui il relatore si rivolge direttamente all’autore) tu poi – come è successo negli ultimi mesi, nell’ultimo periodo – hai voluto descrivere anche in “Itinerario verso l’io” un altro percorso, il percorso di una figura, di una donna, di una ragazza, di una giovane persona: credo che rappresenti la dimostrazione ulteriore che le tematiche che vanno oltre l’io personale sono presenti nella tua mente, costituiscono questa tensione che dal sé (tu parli a volte del tuo Tu, ma non mi soffermo su questo tema pure affascinante) da questo sé vuoi andare nel mondo e vorresti e ti augureresti una sorta di solidarietà, di concorso, di comunione, di comunità, una tua aspirazione a una comunanza di sollecitazione verso la bellezza e verso la solidarietà, verso quello che hai ricavato negli anni della tua fanciullezza, dell’adolescenza e della giovinezza. Io credo che Antonio Pellegrino vada letto un po’ nel suo insieme.
Ognuno di noi con frequenza ricorre a rievocazioni della propria condizione esistenziale, in maniera biografica, come Antonio, sollecitando in noi stessi i nostri ricordi, fa in quel suo libro splendido, di qualche anno fa, “Una vita in otto racconti”. I ricordi esistono per ognuno di noi: un fiume che non c’è più, per esempio, che è diventato palude nel frattempo. La dimensione del ricordo quindi diventa vita nel tempo stesso in cui i nostri paesi vivono in una dimensione perduta il che è anche frutto della nostra cattiva gestione del territorio, all’assenza di vitalità culturale, alla negazione quasi della cultura in quanto tale. Ma tocca a noi, in prima persona, rilanciare questo tema, non lamentiamoci soltanto. Di tali cose Antonio sembra non parlare in forma diretta, non si accenna in maniera esplicita ai temi dell’unità d’Italia, del nucleare e dei referendum per esempio, ma è come se ne parlasse con un trattato più pesante di un comizio avente per tema le problematiche della condivisione sociale. Nei suoi scritti queste cose, che risultano essere implicite, si possono evocare.
La spiritualità, la conoscenza, la poesia, i percorsi interiori sono cose costitutive. Anche in Itinerario verso l’io, l’opera narrativa, ci sono tanti annunci. Tu (qui il relatore si rivolge di nuovo direttamente all’autore) fai riflettere ognuno di noi sulla difficoltà della trasfigurazione di Virginia, che, infatti, non riesce a compiersi. Questo racconto lungo è il racconto di un fallimento o anche di una possibilità ma tutta indeterminata. Scriverai ancora, quindi, perché il problema è drammaticamente aperto verso l’annuncio di un percorso in cui si impari a sapere chi si è. Virginia non riesce a sapere chi è, in balia come è di una serie di esperienze in cui appare come un fuscello che declina la dialettica del soggetto. La protagonista non riesce a esprimere una sintesi, mentre si pone essa, la dialettica esterna, come prevalente rispetto alla sua forza intellettuale e alla sua spiritualità che pure c’è. Se la trasfigurazione è l’andare oltre, e così è, è una operazione che richiede due poli e l’uno senza l’altro sarebbe inefficace. E la coscienza, che è l’invito a entrare dentro di sé, richiede anche l’altro, e l’altro non può essere il ragazzo di cui Virginia si innamora oggi per lasciarlo o essere lasciata domani: esempio questo di amore totalizzante ma che rapidamente esaurisce la sua forza propulsiva, cioè il suo slancio esistenziale.
Io sono partito in questa analisi dal sigillo esistenziale, che è la caratteristica di Antonio Pellegrino, e sto concludendo su questo. Anche se egli sembra parlare di altro, un autore, qualsiasi autore, parla sempre e inevitabilmente di se stesso. La galleria dei protagonisti in Itinerario verso l’io presenta alcuni personaggi che appaiono e troppo rapidamente si chiudono: figure maschili prevalentemente, giovanotti nei quali Virginia non riesce a vedere dei veri interlocutori. Nel rapporto della protagonista con costoro finiscono per prevalere le difficoltà di tipo contingente, quelle difficoltà che quando si affermano riescono a distruggere ciò che conta in termini di significati e di valori. Forse solo Massimo avrebbe potuto costituire una reale interlocuzione perché egli è un medico senza frontiere impegnato ogni giorno nel suo lavoro di solidarietà estrema verso quelli che per davvero sono gli ultimi della terra, quelli che stanno in Africa, quelli che magari muoiono affogati, come è successo ancora e poche ore fa nel nostro mare Mediterraneo. Poteva esserci un risvolto di questo tipo nel tuo racconto della vicenda? E’ un lettore che parla, Antonio, un lettore che ha mantenuto quelle che tu chiami illusioni e a volte utopie. Sono queste qualche cosa di forte ed uniscono certe tensioni e certi sentimenti che non possono cadere, non devono cadere, devono essere ripromosse nella qualità e costruire il futuro, altrimenti anche la coscienza singola credo che non possa farcela. E questa è una operazione collettiva, ma non è una operazione di propaganda, è una operazione culturale, spirituale, morale. Massimo è un uomo impegnato concretamente nel mondo e nel momento in cui instaura un sentimento autentico anche lui – che però ha una famiglia – drammaticamente ha un figlio dalla moglie, diventa padre. Il rapporto iniziato dunque con Virginia, rapporto che poteva essere una opportunità di salvezza per entrambi, si ripiega di nuovo su se stesso. Qui forse ci sarebbe voluto quello che ai nostri tempi non c’è, ci sarebbe voluto il coraggio della scelta dell’amore vero a discapito di quello convenzionale. Un esempio di dedizione totale all’amore vero potrebbe essere quello che, nei Fratelli Karamazov di F. M. Dostoevskij, Zosima, un vecchio monaco ortodosso con la sua barba e la sua sacralità carismatica, dice a uno dei fratelli: «Tu devi riflettere sulla tua coscienza , devi riflettere in te stesso, devi sapere di te, devi prendere dentro di te tutto il male del mondo, devi riuscire a vederti come essere umano che, per essere umano, deve fare parte di questa realtà drammatica del mondo per lanciare un progetto di umanità collettivo e di bellezza dell’amore. L’inferno è quando si finisce di amare, quando non si riesce più a vedere l’altro e ad avere verso l’altro una tensione autentica, libera da qualsiasi altro interesse».
Ma, parafrasando F. M. Dostoevskij stiamo parlando di noi, stiamo parlando del nostro mondo così difficile; stiamo parlando di questa realtà nostra infettata, minata da disvalori e dalla negazione dell’uomo.
Le parole, i versi, le poesie e il romanzo breve o racconto lungo, che dir si voglia, di Antonio pellegrino ci aiutano anche in questo, ci aiutano a metterci in cammino per il recupero del senso forte dell’essere, non per lasciarlo in balia di altro, ma per recuperare l’essenza, cioè il cuore forte, cioè lo spirito, cioè qualcosa capace di dare un senso anche oggi, soprattutto oggi alla vita di tutti"" (1).
Antonio Conte
La spiritualità che aleggia nell’insieme delle opere di Antonio è la spiritualità intesa come co-scienza, scienza di sé ma per andare poi oltre di sé, per andare in una ricchezza recuperata che solo la poesia può fare, che solamente essa può non solo percepire ma confermare. Sono questi spunti di riflessione che ricavo da una lettura così coinvolgente e direi così, negli anni, coerente senza essere stancante e senza essere automatica, senza essere ripetitiva.
Come Antonio prende le distanze dalle cose per arricchirsi dell’esperienza diretta e spirituale così anche ognuno di noi, quando legge qualsiasi cosa, è bene che sia critico. Credo che lui stesso, l’autore, ce lo chiede, ci chiede di essere critici, di esercitare a nostra volta, come anche lui ha fatto, una esercitazione di pensiero e di profondità.
E allora, anche quando (qui il relatore si rivolge direttamente all’autore) tu poi – come è successo negli ultimi mesi, nell’ultimo periodo – hai voluto descrivere anche in “Itinerario verso l’io” un altro percorso, il percorso di una figura, di una donna, di una ragazza, di una giovane persona: credo che rappresenti la dimostrazione ulteriore che le tematiche che vanno oltre l’io personale sono presenti nella tua mente, costituiscono questa tensione che dal sé (tu parli a volte del tuo Tu, ma non mi soffermo su questo tema pure affascinante) da questo sé vuoi andare nel mondo e vorresti e ti augureresti una sorta di solidarietà, di concorso, di comunione, di comunità, una tua aspirazione a una comunanza di sollecitazione verso la bellezza e verso la solidarietà, verso quello che hai ricavato negli anni della tua fanciullezza, dell’adolescenza e della giovinezza. Io credo che Antonio Pellegrino vada letto un po’ nel suo insieme.
Ognuno di noi con frequenza ricorre a rievocazioni della propria condizione esistenziale, in maniera biografica, come Antonio, sollecitando in noi stessi i nostri ricordi, fa in quel suo libro splendido, di qualche anno fa, “Una vita in otto racconti”. I ricordi esistono per ognuno di noi: un fiume che non c’è più, per esempio, che è diventato palude nel frattempo. La dimensione del ricordo quindi diventa vita nel tempo stesso in cui i nostri paesi vivono in una dimensione perduta il che è anche frutto della nostra cattiva gestione del territorio, all’assenza di vitalità culturale, alla negazione quasi della cultura in quanto tale. Ma tocca a noi, in prima persona, rilanciare questo tema, non lamentiamoci soltanto. Di tali cose Antonio sembra non parlare in forma diretta, non si accenna in maniera esplicita ai temi dell’unità d’Italia, del nucleare e dei referendum per esempio, ma è come se ne parlasse con un trattato più pesante di un comizio avente per tema le problematiche della condivisione sociale. Nei suoi scritti queste cose, che risultano essere implicite, si possono evocare.
La spiritualità, la conoscenza, la poesia, i percorsi interiori sono cose costitutive. Anche in Itinerario verso l’io, l’opera narrativa, ci sono tanti annunci. Tu (qui il relatore si rivolge di nuovo direttamente all’autore) fai riflettere ognuno di noi sulla difficoltà della trasfigurazione di Virginia, che, infatti, non riesce a compiersi. Questo racconto lungo è il racconto di un fallimento o anche di una possibilità ma tutta indeterminata. Scriverai ancora, quindi, perché il problema è drammaticamente aperto verso l’annuncio di un percorso in cui si impari a sapere chi si è. Virginia non riesce a sapere chi è, in balia come è di una serie di esperienze in cui appare come un fuscello che declina la dialettica del soggetto. La protagonista non riesce a esprimere una sintesi, mentre si pone essa, la dialettica esterna, come prevalente rispetto alla sua forza intellettuale e alla sua spiritualità che pure c’è. Se la trasfigurazione è l’andare oltre, e così è, è una operazione che richiede due poli e l’uno senza l’altro sarebbe inefficace. E la coscienza, che è l’invito a entrare dentro di sé, richiede anche l’altro, e l’altro non può essere il ragazzo di cui Virginia si innamora oggi per lasciarlo o essere lasciata domani: esempio questo di amore totalizzante ma che rapidamente esaurisce la sua forza propulsiva, cioè il suo slancio esistenziale.
Io sono partito in questa analisi dal sigillo esistenziale, che è la caratteristica di Antonio Pellegrino, e sto concludendo su questo. Anche se egli sembra parlare di altro, un autore, qualsiasi autore, parla sempre e inevitabilmente di se stesso. La galleria dei protagonisti in Itinerario verso l’io presenta alcuni personaggi che appaiono e troppo rapidamente si chiudono: figure maschili prevalentemente, giovanotti nei quali Virginia non riesce a vedere dei veri interlocutori. Nel rapporto della protagonista con costoro finiscono per prevalere le difficoltà di tipo contingente, quelle difficoltà che quando si affermano riescono a distruggere ciò che conta in termini di significati e di valori. Forse solo Massimo avrebbe potuto costituire una reale interlocuzione perché egli è un medico senza frontiere impegnato ogni giorno nel suo lavoro di solidarietà estrema verso quelli che per davvero sono gli ultimi della terra, quelli che stanno in Africa, quelli che magari muoiono affogati, come è successo ancora e poche ore fa nel nostro mare Mediterraneo. Poteva esserci un risvolto di questo tipo nel tuo racconto della vicenda? E’ un lettore che parla, Antonio, un lettore che ha mantenuto quelle che tu chiami illusioni e a volte utopie. Sono queste qualche cosa di forte ed uniscono certe tensioni e certi sentimenti che non possono cadere, non devono cadere, devono essere ripromosse nella qualità e costruire il futuro, altrimenti anche la coscienza singola credo che non possa farcela. E questa è una operazione collettiva, ma non è una operazione di propaganda, è una operazione culturale, spirituale, morale. Massimo è un uomo impegnato concretamente nel mondo e nel momento in cui instaura un sentimento autentico anche lui – che però ha una famiglia – drammaticamente ha un figlio dalla moglie, diventa padre. Il rapporto iniziato dunque con Virginia, rapporto che poteva essere una opportunità di salvezza per entrambi, si ripiega di nuovo su se stesso. Qui forse ci sarebbe voluto quello che ai nostri tempi non c’è, ci sarebbe voluto il coraggio della scelta dell’amore vero a discapito di quello convenzionale. Un esempio di dedizione totale all’amore vero potrebbe essere quello che, nei Fratelli Karamazov di F. M. Dostoevskij, Zosima, un vecchio monaco ortodosso con la sua barba e la sua sacralità carismatica, dice a uno dei fratelli: «Tu devi riflettere sulla tua coscienza , devi riflettere in te stesso, devi sapere di te, devi prendere dentro di te tutto il male del mondo, devi riuscire a vederti come essere umano che, per essere umano, deve fare parte di questa realtà drammatica del mondo per lanciare un progetto di umanità collettivo e di bellezza dell’amore. L’inferno è quando si finisce di amare, quando non si riesce più a vedere l’altro e ad avere verso l’altro una tensione autentica, libera da qualsiasi altro interesse».
Ma, parafrasando F. M. Dostoevskij stiamo parlando di noi, stiamo parlando del nostro mondo così difficile; stiamo parlando di questa realtà nostra infettata, minata da disvalori e dalla negazione dell’uomo.
Le parole, i versi, le poesie e il romanzo breve o racconto lungo, che dir si voglia, di Antonio pellegrino ci aiutano anche in questo, ci aiutano a metterci in cammino per il recupero del senso forte dell’essere, non per lasciarlo in balia di altro, ma per recuperare l’essenza, cioè il cuore forte, cioè lo spirito, cioè qualcosa capace di dare un senso anche oggi, soprattutto oggi alla vita di tutti"" (1).
Antonio Conte