In una terra come la nostra, per la verità un po’ arida di opere o di artisti, assurti agli onori della celebrità nella storia, Decio Frascadore rappresenta, sia pure per via indiretta, una entità non minore. Certo non è di Amorosi, che, tuttavia, frequentò parecchio, lasciandovi, annidate, alcune preziose reliquie della sua arte, da alcuni discussa, in quanto considerata piuttosto manieristica ed artigianale. Per la verità egli prese spunto dalla grande esperienza dell’iconografia religiosa imperante nella Napoli del tempo, ma, in parte, la personalizzò, facendosene, poi, testimone nella Valle Telesina
e non solo. Insomma non fu un semplice ed artigianale imitatore, alla stregua di un copista o plagiatore, tutt’altro. Se si va, con attenzione, scevri da pregiudizi, verso una più meticolosa e rispettosa rilettura delle sue numerose opere, se ne scopre la pregevolezza e la necessità di custodirlo meglio di come fino ad ora si sia fatto. Le tracce di sé, che il Frascadore ha lasciato, incorniciano buona parte della provincia di Benevento, molte sono le chiese depositarie delle sue tele, spesso consumate o corrose dal tempo, comunque non sempre adeguatamente conservate. Operazioni di restauro hanno cominciato timidamente a vedere la luce solo nel corso dell’ultimo ventennio, non prima che riprendessero gli studi e le ricerche su di lui e che si prendesse coscienza che alcune tele, considerate anonime o insignificanti, erano in realtà sue. Frascadore nacque a Solopaca il 10 dicembre 1691 da Giacomo, sindaco del paese, e Cecilia Abbamondi. Visse in pieno il periodo storico e culturale a cavallo tra il Barocco e il Rococò, subendone, in ogni senso, le conseguenze nella sua formazione. Una ripresa dell’interesse verso di lui, e quindi degli studi stessi, risale al 1977 quando Cosimo Formichella ne tracciò un primo profilo più credibile nel suo scritto Decio Frascadore pittore di Solopaca – 1691/1772 - (in Annuario dell’ASMV, 1977) e ne approfondì, poi, ulteriormente, la non trascurabile opera, in anni successivi, in altre sue pubblicazioni risalenti a momenti diversi degli anni ’90. Formichella afferma che “molti artisti come il Frascadore, anche se non dotati di grande talento e, per altro verso, condizionati dai moduli iconografici dettati dalla devozione popolare sei-settecentesca, pure seppero esprimersi con vivacità e immediatezza. Contribuirono a diffondere nella Valle Telesina ed in tutta la provincia sannita il gusto della pittura della capitale del Regno, che, in quegli anni, viveva un’intensa stagione” (AA.VV., Un pittore solopachese del ‘700, Decio Frascadore, Ellecci stampa, Telese 2002, p.11).
Mi si chiederà, a questo punto, il motivo per cui si sta parlando di un artista solopachese quasi fosse un amorosino. Ma il legame c’è ed è un legame forte, vivo, denso di cultura e di significati, carico di storia, riassumibile in almeno tre secoli. Frascadore ebbe, infatti, contatti non marginali con Amorosi per la cui Chiesa di San Michele Arcangelo venne chiamato dall’Arciprete Giovanni Rossi, nell’anno 1723, ricevendone, poi, l’incarico di firmare la grande pala d’altare, “rappresentante S. Michele Arcangelo […]. Per l’iconografia, complessa e inusuale verosimilmente, dovette avvalersi del suo dotto amico e consigliere don Odoardo Abbamondi che gli commissionerà, in seguito, importanti opere. Nel dipinto, un olio su tela, il pittore al tema dell’Arcangelo, che abbatte il drago, simboleggiante le forze del maligno, accompagna quello della redenzione, mediata dalla Madonna, che appare in alto alla destra dell’Eterno Padre, che poggia la mano protettrice sul globo terrestre. Il dipinto è stato restaurato nel 1991” (Cosimo Formichella, op. cit., p. 16), essendo parroco don Marino Labagnara, aggiungo io. Per gli atti relativi al restauro si rimanda direttamente allo scritto di Ferdinando Creta, Decio Frascadore pittore di Solopaca nel ‘700, contenuto nel n° 9 di “Segnali” del 1991 a pag. 14. Altre tele dello stesso autore, similari per dimensione alla pala d’altare, si trovano nella stessa chiesa, ma non risultano riconoscibili con evidenza per le numerose ridipinture avvenute attraverso i decenni.
via crucisPregevoli, in maniera assoluta, sono, tuttavia, le quattordici tele relative alle stazioni della Via Crucis, di cui la nostra bellissima Chiesa è depositaria. Esse furono realizzate nel 1757, mentre il pittore era impegnato per fare la stessa cosa per la Chiesa di S. Martino Vescovo di Cerreto Sannita, queste ultime appaiono in uno stato di degrado e sei si presentano addirittura ridipinte. Quelle amorosine, restaurate, nel miglior modo possibile, in tempi recentissimi, non sono manchevoli di difetti soprattutto per quanto concerne la pellicola pittorica e il particolare gusto iconografico dell’autore, tuttavia il colore si presenta quanto mai vivo e brillante, evidenziando il progresso continuo dell’autore nell’uso delle tecniche cromatiche, che apparivano all’inizio in ritardo rispetto agli sviluppi nuovi che il 700 andava proponendo.
Cosi nel 1990 scriveva agli emigranti italiani don Marino Labagnara “Grazie al contributo di alcuni milioni, erogati dalla Soprintendenza di Caserta, è stato possibile restaurare il quadro di S. Michele che troneggia sull’altare maggiore. Da notizie ufficiose sono venuto a conoscenza che la stessa Soprintendenza intenderebbe restaurare anche gli altri quadri” (L.M. Labagnara, Gocce d’amore, lettere del parroco inviate agli amorosini -1980/2005 – Arti Grafiche Grilli, Foggia 2006, p. 46). E ancora nel 1992 il parroco scriveva: “Lo scorso anno vi parlavo del restauro delle tele e dei dipinti della Chiesa. I lavori non sono ancora ultimati, anche perché i quadri della Via Crucis, apparentemente moderni, sono risultati essere del ‘700 e del pittore Frascadore. La necessità, quindi, di riportarli allo stato originale ha esigito più tempo” (L.M. Labagnara, Gocce d’amore, lettere del parroco inviate agli amorosini -1980/2005 – Arti Grafiche Grilli, Foggia 2006. p. 53/54). E’ deducibile che si ignorava prima del 1992 l’appartenenza di questi ultimi dipinti a un pittore parecchio rivalutato nel tempo.
Non è male avere la coscienza e la conoscenza di quanto come territorio possediamo e di ciò di cui siamo in prima persona responsabili, poichè noi stessi risultiamo depositari, nella veste di cittadini, di patrimoni, anche di valenza artistica, che hanno avuto la rara energia di forare il confine del proprio tempo, spiccando il volo verso gli anni più lunghi e sconfinati della storia.
N.B. - Si rivolge l'invito a visitare il video "Chiesa di S. Michele Arcangelo di Amorosi" di Antonio Pellegrino contenuto in due diverse versioni nel Canale You Tube di Antonio Pellegrino.
e non solo. Insomma non fu un semplice ed artigianale imitatore, alla stregua di un copista o plagiatore, tutt’altro. Se si va, con attenzione, scevri da pregiudizi, verso una più meticolosa e rispettosa rilettura delle sue numerose opere, se ne scopre la pregevolezza e la necessità di custodirlo meglio di come fino ad ora si sia fatto. Le tracce di sé, che il Frascadore ha lasciato, incorniciano buona parte della provincia di Benevento, molte sono le chiese depositarie delle sue tele, spesso consumate o corrose dal tempo, comunque non sempre adeguatamente conservate. Operazioni di restauro hanno cominciato timidamente a vedere la luce solo nel corso dell’ultimo ventennio, non prima che riprendessero gli studi e le ricerche su di lui e che si prendesse coscienza che alcune tele, considerate anonime o insignificanti, erano in realtà sue. Frascadore nacque a Solopaca il 10 dicembre 1691 da Giacomo, sindaco del paese, e Cecilia Abbamondi. Visse in pieno il periodo storico e culturale a cavallo tra il Barocco e il Rococò, subendone, in ogni senso, le conseguenze nella sua formazione. Una ripresa dell’interesse verso di lui, e quindi degli studi stessi, risale al 1977 quando Cosimo Formichella ne tracciò un primo profilo più credibile nel suo scritto Decio Frascadore pittore di Solopaca – 1691/1772 - (in Annuario dell’ASMV, 1977) e ne approfondì, poi, ulteriormente, la non trascurabile opera, in anni successivi, in altre sue pubblicazioni risalenti a momenti diversi degli anni ’90. Formichella afferma che “molti artisti come il Frascadore, anche se non dotati di grande talento e, per altro verso, condizionati dai moduli iconografici dettati dalla devozione popolare sei-settecentesca, pure seppero esprimersi con vivacità e immediatezza. Contribuirono a diffondere nella Valle Telesina ed in tutta la provincia sannita il gusto della pittura della capitale del Regno, che, in quegli anni, viveva un’intensa stagione” (AA.VV., Un pittore solopachese del ‘700, Decio Frascadore, Ellecci stampa, Telese 2002, p.11).
Mi si chiederà, a questo punto, il motivo per cui si sta parlando di un artista solopachese quasi fosse un amorosino. Ma il legame c’è ed è un legame forte, vivo, denso di cultura e di significati, carico di storia, riassumibile in almeno tre secoli. Frascadore ebbe, infatti, contatti non marginali con Amorosi per la cui Chiesa di San Michele Arcangelo venne chiamato dall’Arciprete Giovanni Rossi, nell’anno 1723, ricevendone, poi, l’incarico di firmare la grande pala d’altare, “rappresentante S. Michele Arcangelo […]. Per l’iconografia, complessa e inusuale verosimilmente, dovette avvalersi del suo dotto amico e consigliere don Odoardo Abbamondi che gli commissionerà, in seguito, importanti opere. Nel dipinto, un olio su tela, il pittore al tema dell’Arcangelo, che abbatte il drago, simboleggiante le forze del maligno, accompagna quello della redenzione, mediata dalla Madonna, che appare in alto alla destra dell’Eterno Padre, che poggia la mano protettrice sul globo terrestre. Il dipinto è stato restaurato nel 1991” (Cosimo Formichella, op. cit., p. 16), essendo parroco don Marino Labagnara, aggiungo io. Per gli atti relativi al restauro si rimanda direttamente allo scritto di Ferdinando Creta, Decio Frascadore pittore di Solopaca nel ‘700, contenuto nel n° 9 di “Segnali” del 1991 a pag. 14. Altre tele dello stesso autore, similari per dimensione alla pala d’altare, si trovano nella stessa chiesa, ma non risultano riconoscibili con evidenza per le numerose ridipinture avvenute attraverso i decenni.
via crucisPregevoli, in maniera assoluta, sono, tuttavia, le quattordici tele relative alle stazioni della Via Crucis, di cui la nostra bellissima Chiesa è depositaria. Esse furono realizzate nel 1757, mentre il pittore era impegnato per fare la stessa cosa per la Chiesa di S. Martino Vescovo di Cerreto Sannita, queste ultime appaiono in uno stato di degrado e sei si presentano addirittura ridipinte. Quelle amorosine, restaurate, nel miglior modo possibile, in tempi recentissimi, non sono manchevoli di difetti soprattutto per quanto concerne la pellicola pittorica e il particolare gusto iconografico dell’autore, tuttavia il colore si presenta quanto mai vivo e brillante, evidenziando il progresso continuo dell’autore nell’uso delle tecniche cromatiche, che apparivano all’inizio in ritardo rispetto agli sviluppi nuovi che il 700 andava proponendo.
Cosi nel 1990 scriveva agli emigranti italiani don Marino Labagnara “Grazie al contributo di alcuni milioni, erogati dalla Soprintendenza di Caserta, è stato possibile restaurare il quadro di S. Michele che troneggia sull’altare maggiore. Da notizie ufficiose sono venuto a conoscenza che la stessa Soprintendenza intenderebbe restaurare anche gli altri quadri” (L.M. Labagnara, Gocce d’amore, lettere del parroco inviate agli amorosini -1980/2005 – Arti Grafiche Grilli, Foggia 2006, p. 46). E ancora nel 1992 il parroco scriveva: “Lo scorso anno vi parlavo del restauro delle tele e dei dipinti della Chiesa. I lavori non sono ancora ultimati, anche perché i quadri della Via Crucis, apparentemente moderni, sono risultati essere del ‘700 e del pittore Frascadore. La necessità, quindi, di riportarli allo stato originale ha esigito più tempo” (L.M. Labagnara, Gocce d’amore, lettere del parroco inviate agli amorosini -1980/2005 – Arti Grafiche Grilli, Foggia 2006. p. 53/54). E’ deducibile che si ignorava prima del 1992 l’appartenenza di questi ultimi dipinti a un pittore parecchio rivalutato nel tempo.
Non è male avere la coscienza e la conoscenza di quanto come territorio possediamo e di ciò di cui siamo in prima persona responsabili, poichè noi stessi risultiamo depositari, nella veste di cittadini, di patrimoni, anche di valenza artistica, che hanno avuto la rara energia di forare il confine del proprio tempo, spiccando il volo verso gli anni più lunghi e sconfinati della storia.
N.B. - Si rivolge l'invito a visitare il video "Chiesa di S. Michele Arcangelo di Amorosi" di Antonio Pellegrino contenuto in due diverse versioni nel Canale You Tube di Antonio Pellegrino.