"Orfeo: Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo. [...] Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo. [...]".
In un dialogo l’elemento centrale è sempre la persona che, nel contempo, parla e ascolta; l’altro, che è di fronte, è un veicolo per parlarsi e ascoltarsi; un dialogo apre a tutta l’interiorità dell’individuo e lo pone a confronto con se stesso. Il dialogo guida ognuno di noi verso la vera conoscenza che non è mai sganciata dal “sapersi”, dall’essere consapevoli di essere. Anche il dialogo con Dio (questo non ce lo hanno fatto mai capire veramente) è, in effetti, un dialogo con se stessi, con la parte recondita, mimetizzata di se stessi, la parte incontaminata di percezioni storico-culturali-religiose-politiche e etiche di vario tipo. Dialogare con Dio è mettersi a confronto con se stessi, con le proprie forze e debolezze, con le proprie responsabilità e irresponsabilità: Dio è un fatto dell’uomo, quindi è legato all’uomo, è nell’intimità dell’uomo. E’ l’uomo che, tramite le sue azioni, manda a se stesso il meglio e il peggio, egli è il vero artefice del suo destino, egli realizza il Dio che è in lui o lo abortisce o lo ignora o lo attribuisce ad altri esseri, altri luoghi, altri miti.
Nei dialoghi con Leucò Pavese si mette alla ricerca non del mito, ma del mitico che è nell’essere umano e compie il tentativo di metterlo in luce attraverso la metafora dei due che parlano: ma “i due” altro non sono che le due componenti dell’io, quello vero e quello falso. Il dialogo con se stessi ha il potere di scoprire la maschera e rimuoverla, ha il potere di ricondurre l’uomo all’uomo, di ridonargli il sapore del mito che in lui stesso alberga e dargli le ali per potere volare nel mondo e oltre il mondo. Il dialogo dell’uomo con l’uomo è il viaggio verso il centro dell’essere, è il cammino verso l’io (come uso dire io), è la spinta verso il raggiungimento di quell’equilibrio interiore capace di liberare la persona dal dominio o dalla schiavitù delle impressioni. Le impressioni, a loro volta, sono quello di cui la storia, la cultura, i modelli contaminano la purezza primitiva dell’essere umano, quella purezza in cui risiede il centro, il luogo in cui è depositato il mito dell’uomo in attesa di essere raggiunto (alcuni uomini lo hanno raggiunto, altri uomini, pochi però, lo raggiungeranno certamente). E’ rimanendo in se stessi che si riesce a rimanere estranei a quanto il mondo produce su ciascuno in impressioni. L’impressione è la finta conoscenza che occulta l’io e produce la maschera. L’uomo reale è l’uomo di dentro, tutto il resto è finzione, è menzogna. Questo duplice senso o poter essere dell’uomo in filosofia è sintetizzato nei due concetti estremi di “noumeno” e “fenomeno”. Il noumeno è la conoscenza in sè, coincide con il concetto pure di sapere e di essere; il fenomeno è quanto arriva all’uomo in percezioni di impressioni che producono la “memoria” dell’essere storico, che non è la memoria dell’essere psicologico tipico dell’individuo autenticamente libero. Il benessere dell’uomo, nella sua vita storica, è raggiungibile solo nel recupero (complicatissimo se non impossibile) della memoria di sè e della definizione di un suo coerente progetto di vita nello stesso senso. Non si può essere due cose diverse nello stesso tempo o mettere a tacere l’una o l’altra secondo i momenti e le circostanze. E’ l’unico modo possibile per essere compatibili con sè e coerenti con gli altri. Altre strade producono distorsione a ogni livello e malessere esistenziale di dimensioni, spesso, laceranti.
In un dialogo l’elemento centrale è sempre la persona che, nel contempo, parla e ascolta; l’altro, che è di fronte, è un veicolo per parlarsi e ascoltarsi; un dialogo apre a tutta l’interiorità dell’individuo e lo pone a confronto con se stesso. Il dialogo guida ognuno di noi verso la vera conoscenza che non è mai sganciata dal “sapersi”, dall’essere consapevoli di essere. Anche il dialogo con Dio (questo non ce lo hanno fatto mai capire veramente) è, in effetti, un dialogo con se stessi, con la parte recondita, mimetizzata di se stessi, la parte incontaminata di percezioni storico-culturali-religiose-politiche e etiche di vario tipo. Dialogare con Dio è mettersi a confronto con se stessi, con le proprie forze e debolezze, con le proprie responsabilità e irresponsabilità: Dio è un fatto dell’uomo, quindi è legato all’uomo, è nell’intimità dell’uomo. E’ l’uomo che, tramite le sue azioni, manda a se stesso il meglio e il peggio, egli è il vero artefice del suo destino, egli realizza il Dio che è in lui o lo abortisce o lo ignora o lo attribuisce ad altri esseri, altri luoghi, altri miti.
Nei dialoghi con Leucò Pavese si mette alla ricerca non del mito, ma del mitico che è nell’essere umano e compie il tentativo di metterlo in luce attraverso la metafora dei due che parlano: ma “i due” altro non sono che le due componenti dell’io, quello vero e quello falso. Il dialogo con se stessi ha il potere di scoprire la maschera e rimuoverla, ha il potere di ricondurre l’uomo all’uomo, di ridonargli il sapore del mito che in lui stesso alberga e dargli le ali per potere volare nel mondo e oltre il mondo. Il dialogo dell’uomo con l’uomo è il viaggio verso il centro dell’essere, è il cammino verso l’io (come uso dire io), è la spinta verso il raggiungimento di quell’equilibrio interiore capace di liberare la persona dal dominio o dalla schiavitù delle impressioni. Le impressioni, a loro volta, sono quello di cui la storia, la cultura, i modelli contaminano la purezza primitiva dell’essere umano, quella purezza in cui risiede il centro, il luogo in cui è depositato il mito dell’uomo in attesa di essere raggiunto (alcuni uomini lo hanno raggiunto, altri uomini, pochi però, lo raggiungeranno certamente). E’ rimanendo in se stessi che si riesce a rimanere estranei a quanto il mondo produce su ciascuno in impressioni. L’impressione è la finta conoscenza che occulta l’io e produce la maschera. L’uomo reale è l’uomo di dentro, tutto il resto è finzione, è menzogna. Questo duplice senso o poter essere dell’uomo in filosofia è sintetizzato nei due concetti estremi di “noumeno” e “fenomeno”. Il noumeno è la conoscenza in sè, coincide con il concetto pure di sapere e di essere; il fenomeno è quanto arriva all’uomo in percezioni di impressioni che producono la “memoria” dell’essere storico, che non è la memoria dell’essere psicologico tipico dell’individuo autenticamente libero. Il benessere dell’uomo, nella sua vita storica, è raggiungibile solo nel recupero (complicatissimo se non impossibile) della memoria di sè e della definizione di un suo coerente progetto di vita nello stesso senso. Non si può essere due cose diverse nello stesso tempo o mettere a tacere l’una o l’altra secondo i momenti e le circostanze. E’ l’unico modo possibile per essere compatibili con sè e coerenti con gli altri. Altre strade producono distorsione a ogni livello e malessere esistenziale di dimensioni, spesso, laceranti.