Il valore fondamentale che attribuisco alla parola è nella capacità che essa possiede di interpretare il senso universale dell’esistere, fondato sulla condizione drammatica
del doverconvivere con il dolore provocato dalle difficoltà del riuscire a conciliare l’essere proprio con la verità persa fra le mille parvenze prodotte dalle culture sociali. La parola, dunque, si veste del ruolo digrande traduttrice delle inzioni a cominciare da quelle proprie. Essa, in effetti, è stata sempre la compagna più fedele della mia esistenza: mi ha guidato a volte, altre volte mi ha ferito, mi ha confortato, mi ha divertito, mi ha sfidato, mi ha appassionato…, ma certamente mi ha completato rivelandomi a me stesso, liberandomi dai miei nascondimenti, dalla mia “paura del sapermi”. Pertanto, la parola è evento dell’anima in quanto è capace di riportare alla visibilità quanto era invisibile o nascosto: essa è l’indicatore più credibile
dell’identità assoluta della persona, è la liberatrice del pensiero inibito, occultato dalle convenienze sociali che producono la maschera., insomma è colei che riporta alla luce il tu dell’individuo, cioè il suo io vero, quello liberato o liberabile dalle consuetudini o dalle censure della ragione. E’ attraverso la parola che si manifesta la fisicità assoluta dell’essere: la verità è sostanza riscontrabile solamente nell’estrema coincidenza con se stessi, si manifesta nell’assolutezza della solitudine, che è il centro della propria vita, è il luogo fondamentale del silenzio e dell’ascolto, è il luogo irrinunciabile del deserto, è l’inizio dell’ardimentoso cammino nella direzione della magica verticale che conduce a se stessi, quindi alla possibile liberazione da qualunque forma di soggezione. Il veicolo della parola è la poesia e sacerdote ne è il poeta: se la poesia è lo strumento estremo per la liberazione della parola dall’anima del poeta, la solitudine ed il deserto ne sono la condizione irrinunciabile. La profonda crisi d’identità di cui è ammalata fondamentalmente la nostra epoca produce lacerazioni talmente evidenti e profonde che inducono al sospetto che il nostro tempo sia vedovo della poesia, privato del libero pensiero, lontano quindi dalla verità, certamente celato nel dolore della finzione, che è l’inizio di ogni forma di tradimento: il tradimento di se stessi, il tradimento degli altri, il tradimento del mondo che ci è intorno, il tradimento dell’autenticità della fede. A un qualcuno che, dopo avere letto una delle mie raccolte di versi, mi chiedesse: “Ma… non hai pudore dei tuoi sentimenti?”. Probabilmente risponderei che non ha riflettuto abbastanza sulla parola “sentimento” che è uguale a “sentire, avvertire con forza”, insomma indurrei quel qualcuno a capire che io nei miei versi non mi lascio guidare dalla ragione sociale, mi lascio invece pilotare dal libero pensiero che la mia anima mi detta e che esprime il vero senso di me stesso, i miei veri desideri, le mie paure, le mie angosce, le mie speranze: mi preoccuperei del mio pudore, al contrario, se scrivessi parole e pensieri lontani dal mio vero pensiero allo scopo di non offendere la sensibilità perbenistica della cosiddetta cultura della ragione collettiva. Anche in questa mia ultima opera non avverto motivo di preoccupazione alcuna per il fatto di avere esposto, e con grande fatica, la mia verità, la mia visione autentica delle cose, nel caso contrario avrei veramente tradito me stesso e ingannato chi legge”. Si può essere poeti solo se si ha la disposizione spontanea a lasciarsi sedurre dalla parola, che, nell’atto del versificare, perde il suo senso comune e assume un valore assoluto al di là del coinvolgimento soggettivo del poeta (per es. sono cosa diversa da sé luna, sole, stelle, giorno, sera, notte, solitudine, deserto, morte, vuoto, alcova, vento, pioggia, giglio, rosa, gattino, fiume, altare, silenzio, rumore, dolore, creatura, lampo, tuono, ombre, pipistrelli, rasoio, nulla, schegge, ecc.). E’ attraverso la seduzione che il poeta si lascia trasportare (se-durre = se-ducere) nel seno di se stesso, nei suoi nascondimenti, nei suoi segreti, nelle cose mai dette, mai rivelate. E’ la poesia che produce la sapienza del sé ed apre le porte alla metodologia della conoscenza di Dio, degli altri e di tutto quanto esiste.
dell’identità assoluta della persona, è la liberatrice del pensiero inibito, occultato dalle convenienze sociali che producono la maschera., insomma è colei che riporta alla luce il tu dell’individuo, cioè il suo io vero, quello liberato o liberabile dalle consuetudini o dalle censure della ragione. E’ attraverso la parola che si manifesta la fisicità assoluta dell’essere: la verità è sostanza riscontrabile solamente nell’estrema coincidenza con se stessi, si manifesta nell’assolutezza della solitudine, che è il centro della propria vita, è il luogo fondamentale del silenzio e dell’ascolto, è il luogo irrinunciabile del deserto, è l’inizio dell’ardimentoso cammino nella direzione della magica verticale che conduce a se stessi, quindi alla possibile liberazione da qualunque forma di soggezione. Il veicolo della parola è la poesia e sacerdote ne è il poeta: se la poesia è lo strumento estremo per la liberazione della parola dall’anima del poeta, la solitudine ed il deserto ne sono la condizione irrinunciabile. La profonda crisi d’identità di cui è ammalata fondamentalmente la nostra epoca produce lacerazioni talmente evidenti e profonde che inducono al sospetto che il nostro tempo sia vedovo della poesia, privato del libero pensiero, lontano quindi dalla verità, certamente celato nel dolore della finzione, che è l’inizio di ogni forma di tradimento: il tradimento di se stessi, il tradimento degli altri, il tradimento del mondo che ci è intorno, il tradimento dell’autenticità della fede. A un qualcuno che, dopo avere letto una delle mie raccolte di versi, mi chiedesse: “Ma… non hai pudore dei tuoi sentimenti?”. Probabilmente risponderei che non ha riflettuto abbastanza sulla parola “sentimento” che è uguale a “sentire, avvertire con forza”, insomma indurrei quel qualcuno a capire che io nei miei versi non mi lascio guidare dalla ragione sociale, mi lascio invece pilotare dal libero pensiero che la mia anima mi detta e che esprime il vero senso di me stesso, i miei veri desideri, le mie paure, le mie angosce, le mie speranze: mi preoccuperei del mio pudore, al contrario, se scrivessi parole e pensieri lontani dal mio vero pensiero allo scopo di non offendere la sensibilità perbenistica della cosiddetta cultura della ragione collettiva. Anche in questa mia ultima opera non avverto motivo di preoccupazione alcuna per il fatto di avere esposto, e con grande fatica, la mia verità, la mia visione autentica delle cose, nel caso contrario avrei veramente tradito me stesso e ingannato chi legge”. Si può essere poeti solo se si ha la disposizione spontanea a lasciarsi sedurre dalla parola, che, nell’atto del versificare, perde il suo senso comune e assume un valore assoluto al di là del coinvolgimento soggettivo del poeta (per es. sono cosa diversa da sé luna, sole, stelle, giorno, sera, notte, solitudine, deserto, morte, vuoto, alcova, vento, pioggia, giglio, rosa, gattino, fiume, altare, silenzio, rumore, dolore, creatura, lampo, tuono, ombre, pipistrelli, rasoio, nulla, schegge, ecc.). E’ attraverso la seduzione che il poeta si lascia trasportare (se-durre = se-ducere) nel seno di se stesso, nei suoi nascondimenti, nei suoi segreti, nelle cose mai dette, mai rivelate. E’ la poesia che produce la sapienza del sé ed apre le porte alla metodologia della conoscenza di Dio, degli altri e di tutto quanto esiste.