“Lontana è la primavera”, l’ultimo dei miei lavori, credo rappresenti la radiografia fedele – la sintesi o l’analisi, secondo come si voglia intendere – dello stato presente del mio spirito, dello stato di quanto mi circonda, dello stato di quanto il mondo e le cose mi abbiano suggestionato in passato, di quanto siano in grado di suggestionarmi ancora, di quanto mi potrebbero ulteriormente suggestionare lungo il complicato cammino di riflessione che dura, ormai, da una vita. Lo scorrere dei versi contempla la rappresentazione della visione dell’itinerario di avvicinamento, lento ma graduale, a una maturazione auspicata, a un approdo agognato, l’approdo a un vedere da sempre inseguito nei sogni: vedere il momento del crollo della maschera; vedere il momento dello sgretolamento dei riti e dei giochi della finzione esistenziale; vedere il momento della riconciliazione con il Tu, con quella parte ancora recondita dell’Io che continua a lanciare segnali del suo bisogno di nascere, del suo bisogno di crescere, del suo bisogno di emergere finalmente alla superficie di un mondo che ancora lo ignora, di un mondo che ancora lo relega nella solitudine e nella immobilità, di un mondo che lo rende silente e ripiegato su se stesso, dolorante per il dolore esistenziale che vede crescere oltre di sé; vedere, infine, l’esplodere della primavera con l’intero corredo del suo rigoglioso manto di vita: “Naturale sponda delle mie incorporee visioni,/scorri nell’alveo tormentato del mio ventre/ come acqua pura di sorgente,/ perennemente in moto,/ a sfidare gli accidentati argini/ dell’anima mia alla deriva”. Intanto quel Tu vive di me, si alimenta al mio stesso destino di esule, pasce, come pecora smarrita, in radure aspre, si lamenta della sua forzata prigionia, delle costrizioni a cui il mondo lo asservisce e gli blocca il respiro, gli mozza le ali che anelano al bisogno di librarsi nel volo e di esplorare le celesti praterie colorate dai mille e mille riflessi di orizzonti sterminati. Ma è un bambino ancora quel Tu, è ancora legato al cordone ombelicale, è l’embrione di un essere e di un’essenza negati dalla cultura dominante e artatamente abortiti da processi educativi obsoleti, fatiscenti, nemici dichiarati del concetto di identità inteso come logos, unico possibile, dell’assoluta incontaminazione. Per questo – ancora ombre di noi stessi – ciascuno chiuso nel suo smarrimento, vaghiamo in attesa di una resurrezione che solo per qualcuno avverrà e sarà per lui il passaggio, la Pasqua della mente e dello spirito, il potente respiro del corpo, parte anch’esso di quanto siamo: “E attende, /attende e tace nel silenzio della notte”. È dalla rivolta del poeta al rischio incombente del plagio collettivo, è dalla riscoperta della sua sacerdotale funzione – rispetto alla sacralità dell’individuo – che si può dare inizio a un modo diverso di essere dell’uomo, a una umanità nuova, a una fase rigenerata della storia, della cultura e della civiltà. La poesia, nel cammino di riconversione dell’attuale modello di esistenza, ha un ruolo imprescindibile, è da essa che deve partire l’annuncio della grande novità: la nascita o la resurrezione dell’individuo attraverso l’esplosione della parola. Quest’ultima, dunque, è il soggetto prescelto per l’inizio dell’esodo da una schiavitù di dimensione cosmica, è essa l’autentica rivelazione, è il verbo incarnato, è il mezzo e il fine di un radicale mutamento, è l’inizio e la fine di ogni cambiamento, è la legittima genitrice di quel Tu che è la sede dell’Io autentico. Con ansia attendo, solitario / nel mio deserto immacolato,/ il sorgere dei primi raggi/dell’altra incandescente sfera/ foriera della magia dell’Aurora/ e di riflessi caldi e alati sull’irrigidita Terra. I versi trovano il loro naturale alloggiamento in una partitura metrica di semplice fattura, priva, il più possibile, di orpelli, di sofisticazioni o di sperimentazioni lessicali e strutturali a effetto, volutamente sciolta da elementi restrittivi e obbliganti: il canto s origina dalla scelta delle parole e dalla loro disposizione, mentre le strofe – che simulano una sequenzialità cinematografica - coincidono sempre con una sola immagine, un quadro fatto di parole, capace di evocare –attraverso alchemiche ombreggiature – del poeta e del mondo (che
attraverso lui si rivela) i grandi dolori, le incomprensioni, ma anche le grandi passioni, le alate aspirazioni, i potenti aneliti, la fede in una speranza ancora possibile. Incombe improvvisa/ una carezza di maestrale/ tra i bronzei riflessi/del tenue crepuscolo/ foriero d’una notte/densa di stelle. Lascio ai lettori queste mie note come atto d’inizio di un muto e prolifico dialogo, come desiderio avvertito di un non
impossibile incontro silenzioso di anime nel pieno del buio di una notte che ancora avvolge e nasconde gli anelanti spiriti.
attraverso lui si rivela) i grandi dolori, le incomprensioni, ma anche le grandi passioni, le alate aspirazioni, i potenti aneliti, la fede in una speranza ancora possibile. Incombe improvvisa/ una carezza di maestrale/ tra i bronzei riflessi/del tenue crepuscolo/ foriero d’una notte/densa di stelle. Lascio ai lettori queste mie note come atto d’inizio di un muto e prolifico dialogo, come desiderio avvertito di un non
impossibile incontro silenzioso di anime nel pieno del buio di una notte che ancora avvolge e nasconde gli anelanti spiriti.
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