Il breve ma incisivo e molto dibattuto saggio “L’avvenire di un illusione” appartiene all’ultimo periodo degli scritti di S. Freud. Composto tra la primavera e l’estate del 1927 rappresenta il tentativo di applicazione del sistema interpretativo della psicoanalisi ai processi sociali delle civiltà, onde poterne individuare i fondamentali nodi di carattere nevrotico dovuti alle culture e alle religioni.
Secondo Freud la Civiltà in quanto tale è, sul piano della realtà personale, un peso per l’individuo perché:
· Ne impedisce le pulsioni aggressive che appartengono alla sua prima natura;
· Lo rende servo di una élite dirigente che sta all’origine dell’impiantazione degli Stati, delle leggi e delle regole ad essi connesse;
Ma nello stesso tempo la civiltà è utile all’individuo perché:
· Lo libera dai pericoli sempre incombenti dello Stato di natura, basato sulla legge primordiale del più forte;
· Lo conduce per mano verso il progresso sociale, culturale, politico, tecnico e scientifico;
· Gli costruisce intorno la pace prodotta dallo Stato di diritto. Le masse degli individui, prese a se stanti, sono pigre, sono svogliate, non amano il lavoro e sono sfrenate, perché spinte dai desideri ludici delle pulsioni. Esse per essere regolamentate, nel loro agire naturale, hanno bisogno di uomini forti, di leaders, di guide attraverso le quali possano riconoscere il valore di un indirizzo di vita fondato sui regolamenti dei diritti e dei doveri.
E’ a partire da questi principi che sono nate le prime forme di civiltà, che, guidate da particolari tipi di uomini, hanno condotto le masse verso l’inibizione delle pulsioni primordiali e l’elevazione verso le culture sociali e le morali religiose.
L’imperativo della morale sociale sta sempre di più avvicinando gli uomini all’interiorizzazione e alla normalizzazione dei processi di aggregazione dei contenuti nel tessuto basilare delle moderne civiltà: a mano a mano che si rafforza il potere del Super-Io contemporaneamente si estendono nelle masse i processi di normalizzazione dell’inibizione delle pulsioni primarie e secondarie dell’individuo. In questo processo continuo e inarrestabile di elevazione sociale è stato, in un certo modo, più facile liberare l’uomo dalle pulsioni primarie del cannibalismo, dell’incesto e dell’omicidio, di cui, tuttavia permangono i desideri latenti, di per sé inamovibili e che spesso esplodono dall’inconscio attraverso il sogno; più complicato, invece, è apparso sempre agli uomini sganciarsi dalle pulsioni secondarie, quelle legate all’esercizio della sessualità, all’egoismo, all’avidità, all’arroganza, alla superbia, alla smania di potere e di successo economico, politico, culturale, che sono poi la base scatenante delle malattie sociali della condizione dell’uomo ancora oggi. In ogni caso gli ideali, cioè le infrastrutture morali e culturali di una qualsiasi civiltà, in ogni tempo, sono stati quasi sempre i punti di contrasto, spesso insanabili, fra le classi sociali e fra civiltà o Stati diversi. E’ certo che gli impedimenti delle morali civili spesso inducono alla inibizione di pulsioni fondamentali più in alcuni individui che in altri, più in alcune classi sociali che in altre, più in alcuni Stati che in altri. Fra tutte le culture e le tecniche prodotte dalle civiltà, in ogni tempo e in ogni luogo, pare che l’unica capace di unificare gli spiriti invece che inibirli sia l’arte, perché essa è lo strumento più legato alla sublimazione, attraverso atti simbolici, delle pulsioni primarie dell’individuo: insomma l’arte avvicina l’individuo alle sue stesse pulsioni attraverso positivi e incisivi atti di istantanea realizzazione dei desideri, quasi come avviene in altri modi e con altri complicati processi nel sogno (vedi “L’Interpretazione dei sogni”). Se la civiltà oggi è dominante sulla natura (vedi i vari sistemi di controllo e di censura delle pulsioni: Stati, religioni, culture, morali, ecc.), essa, per altri aspetti, non ha eliminato del tutto la natura, che si rende quotidianamente presente attraverso l’improvviso esplodere di pulsioni rimosse, che rappresentano poi lo stato latente della vita quotidiana della quale, per l’appunto, risultano ineliminabili i conflitti di ogni genere benché i potenti sistemi di controllo delle pulsioni ad opera degli organismi preposti e un attimo prima ricordati. E’ indubbio, come molti pensano ed obiettano alle teorie freudiane, che, nel rapporto natura-destino-dio, dio ha il potere di:
· esorcizzare la natura;
· riconciliare l’uomo con il destino della morte, promettendogli la vita eterna;
· risarcire per le sofferenze della vita nel mondo;
· divinizzare le norme civili e di metterle al di sopra anche dell’uomo più potente;
· volgere la natura, i cui meccanismi egli stesso crea e poi governa, a vantaggio dell’uomo;
· personificare, infine, la natura in Dio-Padre stesso Ed è stata questa la grande vittoria del popolo ebreo, quella di avere creato l’immagine del Dio padre, del Dio che protegge, del dio che promette la liberazione dalla schiavitù, del dio a cui ogni uomo si affida come un bambino al padre o alla madre. Fin qui l’immagine positiva della religione rispetto all’uomo che fiducioso vi si affida anima e corpo, considerando anche il superamento notevole che la religiosità nel Dio-Padre unico ha rappresentato rispetto al superamento delle culture totemiche. Ma quale potrebbe essere l’eventuale punto di contrasto o di contraddizione, rispetto alla mente dell’individuo e alla sua reale libertà psichica? E’ ovvio che
l’individuo che si affida a Dio è destinato a rimanere per sempre bambino, poiché in perpetua attesa di soluzioni a sue domande fondamentali, che vengono da Dio: del resto è il bambino che cerca tutte le risposte ai suoi dubbi nei genitori. Il desiderio avvertito di Dio, pertanto, è legato al desiderio profondo e per certi aspetti inevitabile di protezione. E’ proprio questo desiderio che sta a rappresentare in maniera evidente il segno tangibile dell’impotenza dell’uomo rispetto alla natura. Cosa comunica, dunque la religiosità all’uomo? La religiosità all’uomo comunica quelle cose che l’uomo non riesce a trovare da solo dentro se stesso o nel mondo che lo circonda. Si può dedurre che il sapiente autentico è colui che riesce a trovare in se stesso le risposte ai perché provenienti dalle situazioni di mistero che la vita, il mondo, l’universo presentano. La cultura quindi è la ricerca del sapere tramite l’impegno nel trovare le risposte agli eventi ed ai fenomeni che legano la vita dell’uomo alla Terra. E’ subito deducibile l’assunto che la vera conoscenza è quella che sorge spontanea dallo stupore di trovarsi finalmente davanti l’oggetto desiderato. Il racconto di un oggetto/evento ad opera di altri ci dà dello stesso oggetto/evento della pulsione di desiderio latente solo una parvenza di conoscenza mescolata al dubbio (è la situazione di chi ha sempre sentito parlare della cappella Sistina senza averla mai vista). Ma vediamo dunque su quali pretese si fonda la credibilità delle fedi religiose:
· Sono vere perché vi avevano creduto gli antenati;
· La loro veridicità è confermata da documenti scritti trasmessi dagli antenati;
· E’ praticamente impossibile mettere in atto meccanismi della loro convalida, sono cioè credibili in quanto tali. Secondo Freud ciascuna delle tre pretese contiene in sé il principio dell’assurdità e ciascuna fa scattare automatici contro-quesiti: come potevano essere più colti di noi gli antichi, la cui cultura aveva fondamenti preintuitivi, intuitivi, magici, comunque prescientifici? Inoltre come possiamo prendere per vero assoluto quello che è nei contenuti delle loro esperienze scritte ma fuori della nostra esperienza? E infine come si può pretendere di credere in quanto vero ciò che non solo è indimostrabile, ma si pone addirittura il divieto morale di poterlo dimostrare? Ne consegue che il contenuto di una fede altro non può essere che il dubbio permanente sulla dimostrabilità dell’oggetto medesimo della fede. Se proprio si volesse dimostrare la fede meglio sarebbe guardarsi intorno nel mondo di oggi piuttosto che affidarsi a presunte esperienze di uomini e civiltà del passato. Ma i fautori del credere per fede affermano cose che contengono il dubbio nelle affermazioni stesse. Vediamone qualcuna:
· Affermano i padri della Chiesa “Credo quia absurdum”, come dire che le prove della fede si sottraggono di per sé alla ragione e sono credibili di per sé;
· Certa filosofia e certi filosofi
fondano il credo sull’affermazione categorica del “Come se…”: comportarsi come se tali affermazioni fossero vere. Ma la verità è che le risposte religiose sono pure illusioni di appagamento che l’individuo dà ad antiche domande su desideri molto sentiti e che si traducono immediatamente in dogmi: per esempio la fede nella Provvidenza colma l’angoscia di fronte ai pericoli insormontabili tramite la ragione e di conseguenza di fronte ai misteri della morte, della vita eterna, dell’origine dell’universo e della vita, e via dicendo. Certamente l’illusione di per sé non costituisce per assoluto un errore, anzi essa rappresenta spesso un mezzo di avvicinamento alle risposte provenienti dall’angoscioso gioco dei perché dell’umanità di tutti i tempi di fronte agli insormontabili misteri della vita. Vista così l’illusione ha una incredibile somiglianza con il fenomeno dei “deliri psichiatrici”, ma presenta anche delle profondissime differenze:
· L’illusione può, poi, trovare anche una qualche corrispondenza con la realtà;
· Il delirio contraddice sempre la realtà. In sintesi si può affermare che l’illusione è una credenza che, sul piano della realtà, appaga comunque un desiderio. Si deduce, volendo fare un piccolo consuntivo di quanto fin qui affermato, che la vera irreligiosità non risiede nel “non credere” in un evento di carattere religioso, ma nel rinunciare al “possibile cammino” che ogni uomo può compiere verso la conoscenza. Gli oppositori più convinti delle teorie freudiane affermano che non si può non riconoscere che le fondamenta della civiltà umana sono impiantate in modo solido nelle religioni. Minare queste alla base significa seppellire in un solo istante un intero patrimonio di conoscenze e di atteggiamenti consolidatisi nel tempo e nelle tradizioni della maggior parte dei popoli e delle civiltà del pianeta. Ma come risponde a queste certezze la psicoanalisi? La psicoanalisi, che ha il valore di una scienza sperimentale, identifica, senza ombra di dubbio, sia Dio che le religioni nella maschera che l’individuo pone davanti all’impotenza delle capacità di conoscere e di conoscersi: sono essi la base scatenante dei fenomeni culturali dei processi di inibizione delle pulsioni primarie dell’individuo. La metodologia diagnostica della psicoanalisi è talmente incisiva e radicale che potrebbe essere usata da colui che crede per fede, per potere affermare scientificamente se ciò in cui crede è vero veramente, ma per avere questo possibile risultato deve fare la prova del mettersi a confronto con gli strumenti reali della conoscenza. Ai detrattori più accaniti della psicoanalisi bisognerebbe chiedere:
· Se la religiosità di per sé è in grado di correggere i problemi degli uomini, dei popoli e delle civiltà, perché essa non è nello stesso modo in grado di correggere i problemi di ogni singolo uomo, di ogni singolo popolo, di ogni singola civiltà?
· Perché anche in chi crede si rende presente la patologia dell’infelicità?
· Perché anche chi crede vive drammaticamente e problematicamente la vita?
· Perché anche in chi crede si manifesta la sofferenza dell’impossibilità di dare luogo a pulsioni di desideri avvertiti con forza in conseguenza di restrizioni prodotte da imperativi morali?
Essi rispondono che: In alcuni casi, da considerare limite e al di fuori dei confini reali della fede, la fede stessa viene vissuta in maniera esteriore,
interpretata come un insieme di pratiche da eseguire, vissute come una legge imposta e non avvertita dallo spirito interiore che si dibatte quindi fra le contraddizioni che producono inconclusioni anche sul piano della vita personale. E’ fuori di dubbio che, al di là delle opposte opinioni, il nesso Civiltà-Religione oggi andrebbe profondamente rivisitato e rivisto alla luce dei grandi progressi delle scienze sperimentali. Con quelli religiosi anche gli ordinamenti civili andrebbero liberati da quanto di teocratico ancora contengono, finendo per legare le masse a rapporti di pura dipendenza e di passiva assuefazione. In questa direzione la cultura consolidata del rapporto di supina accettazione di Dio da parte dell’uomo si ripete nel rapporto Stato-cittadino. Il comando o imperativo categorico “Non uccidere” simulato poi in modo illusorio nelle religioni, deriva dal ricordo ancestrale di una “vera uccisione” di un padre-capo, che si è poi oralmente ripetuta nella storia. Questo episodio di liberazione omicida di una pulsione ha finito per diventare un desiderio rimosso dell’umanità che si è ripetuto in tutte le fasi successive della storia medesima. Tale rimosso oggi potrebbe essere studiato, analizzato ed eliminato dai processi psicoanalitici. Dentro questa visione delle cose la religione assumerebbe il ruolo di contenitore delle nevrosi ossessive universali dell’intera umanità. In questo senso, per colui che è religioso, le nevrosi individuali vengono giustificate nell’ampio patrimonio delle nevrosi collettive. I dogmi religiosi non sarebbero altro che la risultanza di “relitti nevrotici” accumulatisi in maniera collettiva nel cammino della storia dell’umanità. Le religioni e i loro dogmi sono il travestimento fantastico di pulsioni di desideri rimossi. E’ noto che gli insegnamenti delle dottrine religiose vengono impartiti in un’età che il bambino non può capire, il che produce subito in lui il blocco delle fondamentali pulsioni. Egli non arriverà mai più ad esprimersi pienamente e spontaneamente, accumulando subito un vasto campo di nevrosi che avrà una sostanziale incidenza nella sua vita di adulto: si pensi un po’ alla pulsione legata alla sessualità infantile, che rimane subito bloccata e incanalata in certe disposizioni morali finalizzate all’attività riproduttiva. Opportuno sarebbe, giunti a questo punto, fare almeno il tentativo di un nuovo percorso dell’educazione del bambino caratterizzato dalla “irreligiosità”. Infatti perché l’individuo smetta di essere bambino, richiede che egli venga educato sin dai primi vagiti al senso della realtà. E a proposito della nascita di un nuovo indirizzo dell’educazione della persona si ricordi che la scienza, al contrario della religione e degli imperativi morali, non è una illusione.
Secondo Freud la Civiltà in quanto tale è, sul piano della realtà personale, un peso per l’individuo perché:
· Ne impedisce le pulsioni aggressive che appartengono alla sua prima natura;
· Lo rende servo di una élite dirigente che sta all’origine dell’impiantazione degli Stati, delle leggi e delle regole ad essi connesse;
Ma nello stesso tempo la civiltà è utile all’individuo perché:
· Lo libera dai pericoli sempre incombenti dello Stato di natura, basato sulla legge primordiale del più forte;
· Lo conduce per mano verso il progresso sociale, culturale, politico, tecnico e scientifico;
· Gli costruisce intorno la pace prodotta dallo Stato di diritto. Le masse degli individui, prese a se stanti, sono pigre, sono svogliate, non amano il lavoro e sono sfrenate, perché spinte dai desideri ludici delle pulsioni. Esse per essere regolamentate, nel loro agire naturale, hanno bisogno di uomini forti, di leaders, di guide attraverso le quali possano riconoscere il valore di un indirizzo di vita fondato sui regolamenti dei diritti e dei doveri.
E’ a partire da questi principi che sono nate le prime forme di civiltà, che, guidate da particolari tipi di uomini, hanno condotto le masse verso l’inibizione delle pulsioni primordiali e l’elevazione verso le culture sociali e le morali religiose.
L’imperativo della morale sociale sta sempre di più avvicinando gli uomini all’interiorizzazione e alla normalizzazione dei processi di aggregazione dei contenuti nel tessuto basilare delle moderne civiltà: a mano a mano che si rafforza il potere del Super-Io contemporaneamente si estendono nelle masse i processi di normalizzazione dell’inibizione delle pulsioni primarie e secondarie dell’individuo. In questo processo continuo e inarrestabile di elevazione sociale è stato, in un certo modo, più facile liberare l’uomo dalle pulsioni primarie del cannibalismo, dell’incesto e dell’omicidio, di cui, tuttavia permangono i desideri latenti, di per sé inamovibili e che spesso esplodono dall’inconscio attraverso il sogno; più complicato, invece, è apparso sempre agli uomini sganciarsi dalle pulsioni secondarie, quelle legate all’esercizio della sessualità, all’egoismo, all’avidità, all’arroganza, alla superbia, alla smania di potere e di successo economico, politico, culturale, che sono poi la base scatenante delle malattie sociali della condizione dell’uomo ancora oggi. In ogni caso gli ideali, cioè le infrastrutture morali e culturali di una qualsiasi civiltà, in ogni tempo, sono stati quasi sempre i punti di contrasto, spesso insanabili, fra le classi sociali e fra civiltà o Stati diversi. E’ certo che gli impedimenti delle morali civili spesso inducono alla inibizione di pulsioni fondamentali più in alcuni individui che in altri, più in alcune classi sociali che in altre, più in alcuni Stati che in altri. Fra tutte le culture e le tecniche prodotte dalle civiltà, in ogni tempo e in ogni luogo, pare che l’unica capace di unificare gli spiriti invece che inibirli sia l’arte, perché essa è lo strumento più legato alla sublimazione, attraverso atti simbolici, delle pulsioni primarie dell’individuo: insomma l’arte avvicina l’individuo alle sue stesse pulsioni attraverso positivi e incisivi atti di istantanea realizzazione dei desideri, quasi come avviene in altri modi e con altri complicati processi nel sogno (vedi “L’Interpretazione dei sogni”). Se la civiltà oggi è dominante sulla natura (vedi i vari sistemi di controllo e di censura delle pulsioni: Stati, religioni, culture, morali, ecc.), essa, per altri aspetti, non ha eliminato del tutto la natura, che si rende quotidianamente presente attraverso l’improvviso esplodere di pulsioni rimosse, che rappresentano poi lo stato latente della vita quotidiana della quale, per l’appunto, risultano ineliminabili i conflitti di ogni genere benché i potenti sistemi di controllo delle pulsioni ad opera degli organismi preposti e un attimo prima ricordati. E’ indubbio, come molti pensano ed obiettano alle teorie freudiane, che, nel rapporto natura-destino-dio, dio ha il potere di:
· esorcizzare la natura;
· riconciliare l’uomo con il destino della morte, promettendogli la vita eterna;
· risarcire per le sofferenze della vita nel mondo;
· divinizzare le norme civili e di metterle al di sopra anche dell’uomo più potente;
· volgere la natura, i cui meccanismi egli stesso crea e poi governa, a vantaggio dell’uomo;
· personificare, infine, la natura in Dio-Padre stesso Ed è stata questa la grande vittoria del popolo ebreo, quella di avere creato l’immagine del Dio padre, del Dio che protegge, del dio che promette la liberazione dalla schiavitù, del dio a cui ogni uomo si affida come un bambino al padre o alla madre. Fin qui l’immagine positiva della religione rispetto all’uomo che fiducioso vi si affida anima e corpo, considerando anche il superamento notevole che la religiosità nel Dio-Padre unico ha rappresentato rispetto al superamento delle culture totemiche. Ma quale potrebbe essere l’eventuale punto di contrasto o di contraddizione, rispetto alla mente dell’individuo e alla sua reale libertà psichica? E’ ovvio che
l’individuo che si affida a Dio è destinato a rimanere per sempre bambino, poiché in perpetua attesa di soluzioni a sue domande fondamentali, che vengono da Dio: del resto è il bambino che cerca tutte le risposte ai suoi dubbi nei genitori. Il desiderio avvertito di Dio, pertanto, è legato al desiderio profondo e per certi aspetti inevitabile di protezione. E’ proprio questo desiderio che sta a rappresentare in maniera evidente il segno tangibile dell’impotenza dell’uomo rispetto alla natura. Cosa comunica, dunque la religiosità all’uomo? La religiosità all’uomo comunica quelle cose che l’uomo non riesce a trovare da solo dentro se stesso o nel mondo che lo circonda. Si può dedurre che il sapiente autentico è colui che riesce a trovare in se stesso le risposte ai perché provenienti dalle situazioni di mistero che la vita, il mondo, l’universo presentano. La cultura quindi è la ricerca del sapere tramite l’impegno nel trovare le risposte agli eventi ed ai fenomeni che legano la vita dell’uomo alla Terra. E’ subito deducibile l’assunto che la vera conoscenza è quella che sorge spontanea dallo stupore di trovarsi finalmente davanti l’oggetto desiderato. Il racconto di un oggetto/evento ad opera di altri ci dà dello stesso oggetto/evento della pulsione di desiderio latente solo una parvenza di conoscenza mescolata al dubbio (è la situazione di chi ha sempre sentito parlare della cappella Sistina senza averla mai vista). Ma vediamo dunque su quali pretese si fonda la credibilità delle fedi religiose:
· Sono vere perché vi avevano creduto gli antenati;
· La loro veridicità è confermata da documenti scritti trasmessi dagli antenati;
· E’ praticamente impossibile mettere in atto meccanismi della loro convalida, sono cioè credibili in quanto tali. Secondo Freud ciascuna delle tre pretese contiene in sé il principio dell’assurdità e ciascuna fa scattare automatici contro-quesiti: come potevano essere più colti di noi gli antichi, la cui cultura aveva fondamenti preintuitivi, intuitivi, magici, comunque prescientifici? Inoltre come possiamo prendere per vero assoluto quello che è nei contenuti delle loro esperienze scritte ma fuori della nostra esperienza? E infine come si può pretendere di credere in quanto vero ciò che non solo è indimostrabile, ma si pone addirittura il divieto morale di poterlo dimostrare? Ne consegue che il contenuto di una fede altro non può essere che il dubbio permanente sulla dimostrabilità dell’oggetto medesimo della fede. Se proprio si volesse dimostrare la fede meglio sarebbe guardarsi intorno nel mondo di oggi piuttosto che affidarsi a presunte esperienze di uomini e civiltà del passato. Ma i fautori del credere per fede affermano cose che contengono il dubbio nelle affermazioni stesse. Vediamone qualcuna:
· Affermano i padri della Chiesa “Credo quia absurdum”, come dire che le prove della fede si sottraggono di per sé alla ragione e sono credibili di per sé;
· Certa filosofia e certi filosofi
fondano il credo sull’affermazione categorica del “Come se…”: comportarsi come se tali affermazioni fossero vere. Ma la verità è che le risposte religiose sono pure illusioni di appagamento che l’individuo dà ad antiche domande su desideri molto sentiti e che si traducono immediatamente in dogmi: per esempio la fede nella Provvidenza colma l’angoscia di fronte ai pericoli insormontabili tramite la ragione e di conseguenza di fronte ai misteri della morte, della vita eterna, dell’origine dell’universo e della vita, e via dicendo. Certamente l’illusione di per sé non costituisce per assoluto un errore, anzi essa rappresenta spesso un mezzo di avvicinamento alle risposte provenienti dall’angoscioso gioco dei perché dell’umanità di tutti i tempi di fronte agli insormontabili misteri della vita. Vista così l’illusione ha una incredibile somiglianza con il fenomeno dei “deliri psichiatrici”, ma presenta anche delle profondissime differenze:
· L’illusione può, poi, trovare anche una qualche corrispondenza con la realtà;
· Il delirio contraddice sempre la realtà. In sintesi si può affermare che l’illusione è una credenza che, sul piano della realtà, appaga comunque un desiderio. Si deduce, volendo fare un piccolo consuntivo di quanto fin qui affermato, che la vera irreligiosità non risiede nel “non credere” in un evento di carattere religioso, ma nel rinunciare al “possibile cammino” che ogni uomo può compiere verso la conoscenza. Gli oppositori più convinti delle teorie freudiane affermano che non si può non riconoscere che le fondamenta della civiltà umana sono impiantate in modo solido nelle religioni. Minare queste alla base significa seppellire in un solo istante un intero patrimonio di conoscenze e di atteggiamenti consolidatisi nel tempo e nelle tradizioni della maggior parte dei popoli e delle civiltà del pianeta. Ma come risponde a queste certezze la psicoanalisi? La psicoanalisi, che ha il valore di una scienza sperimentale, identifica, senza ombra di dubbio, sia Dio che le religioni nella maschera che l’individuo pone davanti all’impotenza delle capacità di conoscere e di conoscersi: sono essi la base scatenante dei fenomeni culturali dei processi di inibizione delle pulsioni primarie dell’individuo. La metodologia diagnostica della psicoanalisi è talmente incisiva e radicale che potrebbe essere usata da colui che crede per fede, per potere affermare scientificamente se ciò in cui crede è vero veramente, ma per avere questo possibile risultato deve fare la prova del mettersi a confronto con gli strumenti reali della conoscenza. Ai detrattori più accaniti della psicoanalisi bisognerebbe chiedere:
· Se la religiosità di per sé è in grado di correggere i problemi degli uomini, dei popoli e delle civiltà, perché essa non è nello stesso modo in grado di correggere i problemi di ogni singolo uomo, di ogni singolo popolo, di ogni singola civiltà?
· Perché anche in chi crede si rende presente la patologia dell’infelicità?
· Perché anche chi crede vive drammaticamente e problematicamente la vita?
· Perché anche in chi crede si manifesta la sofferenza dell’impossibilità di dare luogo a pulsioni di desideri avvertiti con forza in conseguenza di restrizioni prodotte da imperativi morali?
Essi rispondono che: In alcuni casi, da considerare limite e al di fuori dei confini reali della fede, la fede stessa viene vissuta in maniera esteriore,
interpretata come un insieme di pratiche da eseguire, vissute come una legge imposta e non avvertita dallo spirito interiore che si dibatte quindi fra le contraddizioni che producono inconclusioni anche sul piano della vita personale. E’ fuori di dubbio che, al di là delle opposte opinioni, il nesso Civiltà-Religione oggi andrebbe profondamente rivisitato e rivisto alla luce dei grandi progressi delle scienze sperimentali. Con quelli religiosi anche gli ordinamenti civili andrebbero liberati da quanto di teocratico ancora contengono, finendo per legare le masse a rapporti di pura dipendenza e di passiva assuefazione. In questa direzione la cultura consolidata del rapporto di supina accettazione di Dio da parte dell’uomo si ripete nel rapporto Stato-cittadino. Il comando o imperativo categorico “Non uccidere” simulato poi in modo illusorio nelle religioni, deriva dal ricordo ancestrale di una “vera uccisione” di un padre-capo, che si è poi oralmente ripetuta nella storia. Questo episodio di liberazione omicida di una pulsione ha finito per diventare un desiderio rimosso dell’umanità che si è ripetuto in tutte le fasi successive della storia medesima. Tale rimosso oggi potrebbe essere studiato, analizzato ed eliminato dai processi psicoanalitici. Dentro questa visione delle cose la religione assumerebbe il ruolo di contenitore delle nevrosi ossessive universali dell’intera umanità. In questo senso, per colui che è religioso, le nevrosi individuali vengono giustificate nell’ampio patrimonio delle nevrosi collettive. I dogmi religiosi non sarebbero altro che la risultanza di “relitti nevrotici” accumulatisi in maniera collettiva nel cammino della storia dell’umanità. Le religioni e i loro dogmi sono il travestimento fantastico di pulsioni di desideri rimossi. E’ noto che gli insegnamenti delle dottrine religiose vengono impartiti in un’età che il bambino non può capire, il che produce subito in lui il blocco delle fondamentali pulsioni. Egli non arriverà mai più ad esprimersi pienamente e spontaneamente, accumulando subito un vasto campo di nevrosi che avrà una sostanziale incidenza nella sua vita di adulto: si pensi un po’ alla pulsione legata alla sessualità infantile, che rimane subito bloccata e incanalata in certe disposizioni morali finalizzate all’attività riproduttiva. Opportuno sarebbe, giunti a questo punto, fare almeno il tentativo di un nuovo percorso dell’educazione del bambino caratterizzato dalla “irreligiosità”. Infatti perché l’individuo smetta di essere bambino, richiede che egli venga educato sin dai primi vagiti al senso della realtà. E a proposito della nascita di un nuovo indirizzo dell’educazione della persona si ricordi che la scienza, al contrario della religione e degli imperativi morali, non è una illusione.