1) Prefazione - (N.B. - Le note alla fine del testo) -
La ricerca culturale, in questi ultimi anni, ha compiuto enormi progressi, arricchendosi di un patrimonio di dati e di indicazioni metodologiche, utili per la interpretazione e la spiegazione dei fenomeni tipici dell’epoca in cui si vive. L’arricchimento si qualifica come presa di coscienza, da parte dell’uomo contemporaneo, della realtà di un mondo in rapida evoluzione; dal punto di vista strettamente psicologico, tutto ciò significa riconoscere una forma di aggregazione operata e perpetrata dal reale sulla coscienza personale. E, parlando di reale, non ci si riferisce tanto all’accezione data a questo termine dalla filosofia, quanto ad una situazione psicologica dove il reale, oltre a funzionare da elemento perturbatore dell’ordine razionale del pensiero, provoca il disordine e suscita il dubbio, proprio all’interno di quella che si potrebbe definire “l’armonia della comunicazione delle coscienze”[1]. Il tempo pone, oggi, davanti ad alternative di scelta spigolose e contrastanti, e ci si deve chiedere se non sia giusto rifiutare il principio secondo cui è il nostro spirito che aggredisce il reale, intervenendo sullo stesso per modificarlo e valga, invece, la pena di accogliere la tesi opposta secondo la quale il reale è in grado di assorbire e dominare lo spirito, riducendolo a suo strumento. Per quanto riguarda chi scrive, la ricerca del significato della diversità culturale è riscontrabile solo nella logica mediazione dei termini di contrasto e per questo si ritiene necessario proiettare l’uomo fuori dagli schematismi filosofici, politici, ideologici, ambientali, predeterminanti, in qualsiasi modo, il libero sviluppo delle forme mentali. Non pochi di noi sono la risultante di errori logici commessi da modelli di società normativi, che sempre hanno evaso il principio fondamentale del rispetto della struttura cardine del creato: l’uomo come valore assoluto. «La conoscenza della necessità è liberatrice, a condizione che sia assimilata e interpretata dalla coscienza. Perciò è indispensabile che ciascuno, nella misura irriducibile che gli è propria, possa essere l’agente che individua i propri problemi ed effettua responsabilmente le proprie decisioni»[2]. Quella che noi chiamiamo personalità, infatti, è, troppo spesso, il risultato, quasi automatico, di tutte le spinte che si ricevono e finché non ci si accorge di questo enorme inganno e non si cerca di liberarsene, spezzando legami e vincoli, che guidano verso le scelte, si resterà sempre schiavi di qualcuno o di qualcosa, e la vita di ciascuno non sarà altro che un prodotto obbligato di condizionamenti subiti. «A tutt’oggi, non era mai accaduto nulla di comparabile agli effetti di quella che si usa definire Rivoluzione scientifico-tecnologica. Infatti, molti progressi tecnici erano stati conseguiti, in passato, grazie alle scienze basate sull’osservazione e mediante la scoperta di formule, senza coinvolgere il controllo delle forze segrete della natura nei suoi molteplici aspetti. È solo in data relativamente recente che le conquiste della ricerca di base hanno aggredito il cuore dei problemi e si sono contemporaneamente diffuse, attraverso impieghi sempre più rapidi, nella vita quotidiana della massa degli uomini. D’altra parte, a differenza della Rivoluzione industriale del XVIII secolo, e del primo macchinismo che sostituì e moltiplicò le facoltà fisiche e muscolari dell’uomo, la Rivoluzione scientifico-tecnologica ha conquistato l’ambito della mente sia con la trasmissione immediata delle informazioni da ogni distanza, sia con l’invenzione, ogni giorno più perfezionata, di macchine calcolatrici operanti in base a processi razionali. Questo fenomeno investe necessariamente l’umanità nel suo insieme»[3]. Il progresso autentico può essere conseguito e potenziato da personalità la cui attività per un lato è volta alle aspirazioni e alla preparazione di ciascuna di esse e, per un altro, a una oggettività in fieri quale finalità che la trascende e che costruisce il valore di un processo infinito. La radice del progresso si dimostra così essere lo stesso individuo che si fa persona nell’esplicazione di una attività che lo trascende. Ciascun individuo che si faccia persona accoglie e risolve in sé la totalità del mondo, cioè lo individua e, allo stesso tempo, lo comunica come valore, lo universalizza nella sintesi di tensione della coscienza propria. «Ciascun individuo è, allora, centro e periferia, allo stesso tempo, del mondo: centro mobile nella circolarità anche essa mobile, tra coscienze, che quanto più in sé risolve di valore tanto più riesce a comunicarlo»[4]. È la persona con la sua irripetibile singolarità, cioè con la sua capacità di rifare in sé stessa l’esperienza storica, che dà alla totalità dell’umanità il proprio originale contributo. La storia, allora, si dimostra essere risultato determinante di valori presenti in ciascuna, impegnata, persona che in sé li risolve, e, per essa persona, tali valori alla storia ritornano e stimolano altre persone. La storia è processo a costo che sia creazione, cioè visione originale e critica di ciascun soggetto; ma la creazione è possibile in tutti i campi solo se promuove questo processo e, a mano a mano, lo libera da tutti gli aspetti non fattivi e che lo limiterebbero nel gioco delle parzialità. Il valore, come risultato di ogni ricerca, piuttosto che supinamente accettato, è rimesso in discussione, cioè è problematizzato, smontato, osservato nelle diversità possibili dell’essere vissuto, approfondito nell’azione costante volta al suo superamento. Il progresso della civiltà, così, non può non essere orientato verso la struttura cardine dell’esistenza: il riconoscimento effettivo dell’uomo liberato. Nella mediazione della coscienza storica tra il già fatto del passato e il farsi del futuro è la vita del presente storico, come vita del mondo interiore, formazione del proprio carattere di cui la società si potenzia in ogni attività che non si restringa in parziali finalità, ma aspiri all’assoluto. 2)Genesi delle strutture psichiche e loro caratteristiche evolutive Pare necessaria la liberazione dell’uomo dagli schemi fissi del tempo che vive per inserirlo in orizzonti mentali più ampi e capaci di farlo orientare con maggiore spirito di libertà in ogni contesto spazio-temporale del reale, per rendere meno fatale quel binomio di aggressività, che sempre si ripete nella storia, rappresentato dalle lotte generazionali. L’esperienza strutturalista, come le altre tecniche culturali moderne di lettura del reale, offre una forte gamma di esperienze e di tentativi di approssimazioni diverse e successive in campi diversi per ridonare all’uomo la sua umanità. In senso vasto, una struttura è un sistema di trasformazioni che comporta delle leggi in quanto sistema, e che si conserva o si arricchisce grazie al gioco stesso delle sue trasformazioni, senza che queste conducano fuori dalle sue frontiere e facciano appello a elementi esterni. Una struttura comprende, così, questi tre aspetti:
«Possiamo concepire la vita mentale come evolventesi in direzione di una forma di equilibrio finale rappresentata dalla mente adulta»[5]. Lo sviluppo, così inteso, si verificherebbe attraverso un progressivo passaggio da uno stato meno ordinato a uno più ordinato. Si intende così la compresenza di più strutture variabili, trasformantesi dallo stadio primitivo dei riflessi e meccanismi allo stadio delle operazioni intellettuali di tipo astratto, della formazione della personalità e dell’inserimento affettivo e intellettuale nel mondo degli adulti. «Ogni stadio costituisce, dunque, attraverso le strutture che la definiscono, una forma specifica di equilibrio, e l’evoluzione mentale si realizza nella direzione di un equilibrarsi sempre più avanzato»[6]. Se ogni struttura ha un proprio equilibrio, è come dire che ogni struttura ha un proprio sistema[7], e anche in relazione alle strutture e ai sistemi a esse seguenti. Se l’ultima struttura, e quindi l’ultimo sistema, non sono che conseguenze logiche della prima struttura e del primo sistema, non ce ne possiamo spiegare la dimensione particolare, se non risalendo alla genesi del suo sviluppo. Il Piaget, in proposito, osserva che: «Ogni genesi parte da una struttura e si conclude in un’altra struttura»[8]. E che: «Ogni qualvolta troviamo in psicologia dell’intelligenza una struttura se ne può sempre rintracciare la genesi a partire da altre strutture più elementari che non costituiscono esse stesse principi assoluti, ma derivano da strutture ancora più elementari»[9]. Ma se ogni genesi parte da una struttura è pure necessario stabilire che: «Ogni struttura ha una genesi»[10]. Si può già escludere che esistano strutture innate perché: «Ogni struttura suppone una costruzione. Tutte queste costruzioni risalgono, di termine in termine, a strutture anteriori che rimandano, in ultima analisi, al problema biologico»[11]. Il fatto biologico è inteso come la predisposizione del bambino a stabilire un certo tipo di rapporti con l’ambiente, che risponde a dei suoi bisogni particolari, che, compensati, lo guidano a stabilire un rapporto sempre più specifico di equilibrio con se stesso e di se stesso rispetto all’ambiente. È proprio attraverso il soddisfacimento dei primi bisogni, definiamoli pure biologici, che il bambino va percorrendo i suoi primi passi attraverso la sua storia e la storia del mondo che lo accoglie: egli, attraverso il continuo ristabilizzarsi delle successive strutture, guida se stesso verso la scoperta delle cose, poi dell’io proprio, e alla distinzione tra il soggettivo e l’oggettivo, che, a livello primordiale, vale a dire a livello della prima struttura, comincia su un piano di assoluta indistinzione. Questo bisogno di passaggio dall’indistinto a una capacità di distinzione sempre maggiore coincide con quella disponibilità spirituale nell’individuo, che, anche grazie alla sua struttura biologica, lo spinge a una sempre maggiore costruzione, a una continua proiezione in avanti verso le cose, verso se stesso, verso gli altri, verso il mistero che si cela dietro a ogni evento. È da dire, poi, che: «A ogni livello di sviluppo l’azione[12] suppone sempre un interesse che la provochi, si tratti di un bisogno sociologico, affettivo o intellettuale; a ogni livello l’intelligenza cerca di comprendere o di spiegare. Ma se le funzioni dell’interesse sono, dunque, comuni a tutti gli stadi, cioè invarianti in quanto funzioni, è altrettanto vero che gli interessi – contrapposti all’interesse – variano considerevolmente da un livello mentale all’altro, e le spiegazioni particolari – contrapposte alla funzione dello spiegare – sono forme molto diverse, a secondo del grado di sviluppo intellettuale. Accanto alle forme costanti si devono, quindi, distinguere le strutture variabili, ed è precisamente l’analisi di queste strutture progressive, o forme successive di equilibrio, che permette di determinare le differenze od opposizioni da un livello all’altro della condotta, dai comportamenti elementari del neonato fino all’adolescenza»[13]. Al di là dell’intelligenza in senso statico, esistono le intelligenze come variabili di strutture variabili, e, in questo senso, il periodo dei cosiddetti bisogni fisiologici non è meno intelligente di quello dei bisogni logici e dei nessi causali. Senza stare a fare un’analisi delle caratteristiche evolutive specifiche, si vuole prendere della psicologia del Piaget, quello che interessa per estrarre i principi di un nuovo modo di organizzazione della mente dell’individuo rispetto ai percorsi conoscitivi nella famiglia, nella scuola, nell’ambiente di vita. Dalle analisi psicogenetiche del grande epistemologo deriva, infatti, la visione di una logica nuova e diversa, relativamente al campo delle scienze pedagogiche, metodologiche e didattiche, capace di fornire infinite aperture al possibile. La psicogenesi, in effetti, insegna che nei processi mentali, osservati nell’individuo in formazione, pensare non significa astrarre il contenuto del pensiero dall’oggetto, bensì arricchire l’oggetto di tutte le relazioni attribuite dal soggetto, insomma una vera e propria rivoluzione copernicana del rapporto insegnamento-apprendimento. Prima di stabilire delle leggi, il pensiero pone dei nessi generali stabiliti attraverso l’azione, ma né questa natura attiva, né il fatto che il soggetto abbia bisogno di una certa forma di esperienza impediscono a questi nessi di manifestare le capacità di costruzione del soggetto in rapporto alle proprietà psichiche dell’oggetto. L’intelligenza, pertanto, rappresenta un legame tra il soggetto e l’oggetto per cui è necessario distinguere due tipi di astrazione:
3)L’evoluzione psichica nell’età scolare Come si è avuto già modo di vedere, in ordine alle strutture variabili il Piaget usa distinguere sei stadi di sviluppo che vanno dai bisogni primari fisiologici a quelli logici. Ai sei stadi corrisponderebbero tre dimensioni diverse e progressive dell’intelligenza:
«Ma è nell’adolescenza che si comincia a provare interesse per i problemi inattuali, senza rapporto con la realtà vissuta o che anticipano con una ingenuità disarmante situazioni future spesso chimeriche»[19]. E inoltre: «Per ciò che riguarda le operazioni formali di questa età possiamo dire che non sono altro se non le stesse operazioni degli stadi precedenti, ma applicate a ipotesi o proposizioni: queste, poi, consistono in una logica delle proposizioni in contrapposto a quella delle relazioni, delle classi e dei numeri, ma il sistema delle implicazioni, che regolano queste proposizioni, costituisce soltanto la trasposizione astratta delle operazioni concrete»[20]. Abbiamo nell’adolescenza un egocentrismo intellettuale non diverso, per componente strutturale, dall’egocentrismo del neonato che assimila l’universo alla propria attività fisica, e a quello della prima infanzia che assimila le cose al pensiero in fieri. Ma l’egocentrismo metafisico dell’adolescente viene, a poco a poco, corretto in una riconciliazione tra il pensiero formale e la realtà; l’equilibrio viene raggiunto quando la riflessione comprende che la propria funzione non è quella di contraddire ma quella di precedere e interpretare l’esperienza. 4)Riflessi delle ricerche psicogenetiche sui nuovi procedimenti educativi Il procedimento educativo e formativo per qualsiasi disciplina, in considerazione di tali premesse, non può non “consistere nel dinamismo funzionale e interpersonale di motivazione e struttura e nell’interpretazione di questo soggettivo dinamismo di motivazione e struttura con l’oggettivo dinamismo delle strutture della realtà naturale e culturale”[21]. Il problema odierno della pedagogia resta quello della conoscenza. Le meraviglie della ragione non si possono ottenere con un cominciamento legato a schemi rigidi e irreversibili. L’elasticità intellettuale dell’uomo moderno deve necessariamente uscire dalla fangosa idea dell’apprendistato mentale, perché “l’intelligenza dispone dei suoi mezzi coscienti per poter diventare pensiero”[22]. È necessario rompere finalmente con l’immagine del bambino che struttura strutture già strutturate: “il pensiero è produttivo quando l’organizzazione percettiva ci dà l’esatta struttura conformata da cui desumere concetti”[23]. Dalla psicologia genetica, come si è potuto notare, il valore della conoscenza è inteso come fatto indiscriminatamente naturale, normale e inventivo, e tutto è contrapposto alla staticità del cosiddetto metodo legato, senza possibilità di reversioni alla preesistenza di figure, di forme e di una chiusa educazione sensoriale. La stimolazione dinamica è quella che il Piaget contrappone a ogni staticità di pensiero e la determina, appunto, come formazione delle conoscenze o psicogenesi. Se lo scopo dell’educazione è quello di formare l’intelligenza, piuttosto che arredare la memoria, appare evidente la carenza dell’insegnamento tradizionale. L’adolescente deve tendere a raggiungere lo stato di adulto non più ricevendo belle e pronte, inscatolate, la ragione e le regole, ma conquistandole con lo sforzo e l’esperienza personali. È, infine, una nuova metodologia della mente umana che si cerca, è una nuova logica del soggetto quella di cui si ha bisogno, e in questa logica ogni frammento esterno entra come strumento e ausilio per la liberazione delle strutture psichiche. L’insegnamento diverso è quello che intuisce la presenza di soggetti diversi e ciascuno irripetibile a confronto degli altri. Negli atti psichici dell’individuo sono compresenti tutte le caratteristiche proprie di ogni disciplina di studio, e educare vuol dire liberare dalla mente le capacità che le sono connaturate. Levy Strauss afferma che “comprendere i processi storici consiste nel dimenticarli per superarli mediante azioni concrete”[24], in realtà la storia non è legata all’uomo, né a nessun oggetto particolare. Essa consiste interamente nel suo metodo, di cui l’esperienza prova che è indispensabile, per inventariare, la integralità degli elementi di una struttura qualsiasi, umana o non umana. Non è, dunque, la ricerca della intellegibilità a sfociare nella storia come punto relativo, ma è la storia che serve da punto di partenza per ogni ricerca dell’intellegibilità. E. Faure afferma: “«L’educazione – e anche l’educazione alla storia – deve essere globale e permanente se vuole veramente formare l’uomo integrale il cui avvento appare necessario a mano a mano che ostacoli sempre più duri spezzano e disarticolano la condizione dell’essere individuale, vale a dire del vero soggetto della storia. Non si tratta più di acquisire, in modo puntuale, conoscenze definitive, ma di preparare a elaborare, lungo tutto il corso della vita, un sapere in costante evoluzione: e, perciò, si tratta di apprendere a essere»[25]. È la storia di ciascuno, per concludere, che è più storia di ogni storia, perché essa contribuisce anche al farsi della storia di tutti gli altri. NOTE [1] R. Eynard, da un suo articolo, in Orientamenti pedagogici. 2 J. Piaget, Strutturalismo, Ed. Einaudi. 3 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 4 Vale a dire un proprio grado di formalizzazione. 5 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 6 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 7 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 8 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 9 Si sottintende l’azione verso il conoscere, l’esplorare. 10 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 11 Termine usato dal Piaget. 12 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 13 Concezione tipica dei popoli primitivi secondo cui ogni fenomeno o cosa dell’universo sono dotati di anima e vivono di una loro vita, spesso creduta divina e degna di culto. 14 Dottrina secondo la quale tutti gli eventi che si verificano nell’universo sono tra loro collegati e tendono insieme verso la realizzazione di un fine ultimo. 15 E’ la tendenza del bambino ad assegnare a elementi naturali costruzione umana (così nella psicologia di Piaget). 16 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 17 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 18 J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988. 19 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e Altri Studi di Psicologia, Ed. Einaudi, 1970. 20 J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988. 21 C. Levy-Stauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, 1958. 22 E. Faure, Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando Editore, 1974. 23 J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988. 24 C. Levy-Stauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, 1958. 25 E. Faure, Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando Editore, 1974. |