Premesso che la legge fondamentale dello Stato, relativamente all’organizzazione della scuola sull’intero territorio nazionale, rimane la legge n° 53, più conosciuta come Riforma Moratti, le Indicazioni per il curricolo di Giuseppe Fioroni, nell’agosto del 2007, e le ipotesi di aggiustamento di Mariastella Gelmini, proprio in questi giorni del 2008, ne rappresentano modifiche in itinere, non in tutti i casi comprensibili, dovute ai diversi umori della politica nelle circostanze dei cambiamenti di governo e di ministri. Ma vediamo, nelle dovute successioni, le diverse fasi, per cercarne di comprendere, nei limiti del possibile, i motivi. La legge 53 trovava le sue origini in un modello di società radicalmente cambiato rispetto anche al passato più recente, una società che:
- si era universalizzata nei modi di essere e di concepire l’esistenza;
- si era appiattita su un vacuo conformismo di dimensione globale;
- erano cambiati i modelli di comportamento culturale;
- era cambiato il costume sociale;
- erano cambiati la concezione e l’uso del tempo libero, condizionati da un consumismo irrefrenabile;
- era cambiato il modo di esercitare la politica, si erano confuse tra di loro le classi sociali (vedi sistema delle polarizzazioni);
- al sentimento religioso si era sostituita la religiosità del mito del successo e del benessere;
- la televisione e la pubblicità avevano creato nuovi archetipi, che avevano soppiantato i valori tradizionali che inducevano a un modello di vita dominato dall’edonismo sfrenato e dal materialismo degli atteggiamenti nella vita quotidiana;
- si erano modificati i ruoli e le funzioni all’interno della famiglia che si era arresa ai nuovi canoni culturali e comportamentali, fondati su una presunta libertà dell’essere, che sfociava sempre più frequentemente in un incontenibile relativismo e nella confusione dei ruoli uomo-donna, padre-madre, docente-discente, cosa di cui risentivano, in primo luogo, i figli;
- l’economia era diventata il punto di riferimento della crescita e dello sviluppo in dimensione planetaria; si era gradualmente sostituita a tutti i precedenti valori morali e sociali, che mai come allora avevano vissuto una crisi tanto preoccupante;
- erano cambiati i rapporti sociali all’interno della scuola: le nuove generazioni non erano più supine e arrendevoli agli eventi culturali e alle decisioni relative alle scelte; erano propositive, invece, di nuovi modelli di comportamento, erano conduttrici di valori alternativi difficilmente conciliabili con i modi comuni di essere (pacifismo, ambientalismo, volontariato, obiezione di coscienza e via dicendo).
Nasceva e cresceva in questo clima la Legge Moratti, che veniva a soppiantare, all’improvviso, la “quasi attuata” Riforma Berlinguer. La L. 53 mirava al tentativo organico di disegnare l’identikit dell’uomo idoneo a sopravvivere in un modello di società le cui coordinate fondamentali risultavano essere quelle sopra rapidamente e schematicamente delineate. Era una Riforma che, per certi aspetti, dopo una prima percezione sommaria, faceva pensare a cose già viste, già fatte, come:
- Individualizzazione
- Unità didattiche
- Laboratori
- Portfolio
In realtà tutto questo nella L. 53 veniva confezionato in un sistema organico progettuale: la sua impiantazione comprendeva paletti ben definiti di tempi e di modi, presentati all’interno dei Vincoli e delle Risorse. Tali paletti - come emergeva dalle risultanze della sperimentazione, avvenuta in quegli ultimi anni, e come, d’altra parte, si evinceva dal contesto sociale che sembrava essere spaccato in due rispetto alle ipotesi della Riforma - erano interpretabili in un primo modo:
- Personalizzazione
= Valorizzazione dei singoli individui;
- Tutorialità = Accoglienza, cura, guida, accompagnamento dei singoli alunni, cura dei rapporti con le famiglie;
- Portfolio
= Valorizzazione delle competenze e promozione dell’autoconoscenza;
- Laboratorio
= Promozione degli aspetti sociali ed operativi della conoscenza e del sapere = cultura delle abilità e delle competenze;
E in un secondo modo:
- Personalizzazione = pericolo di deresponsabilizzazione dei docenti = possibilità di invito ad un tipo di discriminazione culturale già visto al tempo dell’introduzione della Scuola di Avviamento che rappresentava una alternativa agli sbocchi professionali aperti dalla Scuola Media;
- Tutorialità = prevalenza temporale accentuata per un docente e possibilità di discriminazione all’interno del team dei docenti;
- Portfolio = produzione inutile di una raccolta di documenti da affidare agli archivi come già accaduto in occasione di precedenti esperienze o esperimenti di questo tipo;
- Laboratorio = percepibile da molti addetti ai lavori come neo-doposcuola per le attività leggere, come attività di serie “B”.
Certo è che tale Legge di riforma della scuola, sin dai suoi primi rigurgiti, induceva quanto mai alla riflessione sull’uomo e sulla società, stuzzicava le domande possibili sulle possibilità dell’Essere oggi. Intanto i dubbi che essa suscitava negli addetti ai lavori, nella famiglia, nella società, nel contesto economico e culturale evidenziavano alcuni punti di possibile ambiguità: essa sembrava orientata ad una sia pure inconscia accettazione/esaltazione di quel modello di società, per altri aspetti sconcertante, i paletti posti sembravano essere troppo rigidi, limitanti la libertà di insegnamento che era da sempre una delle prerogative previste per il docente, l’uomo stesso sembrava essere utilizzato quasi come il pezzo dell’ingranaggio di un sistema (vedi i riferimenti a inglese, informatica, impresa e il cedimento nel monte ore della lingua francese e delle discipline letterarie) che aveva ormai rinunciato ad alcuni punti di riferimento etico legati alla tradizione culturale, morale e religiosa. Il mutamento dello scenario politico, dovuto alla sconfitta nelle elezioni del 2006 del Polo della Libertà ad opera del Centro-Sinistra, faceva scattare nuovi meccanismi di riflessione sul mondo della scuola e sui suoi disagi manifesti o latenti che trovavano la loro concretizzazione nelle Indicazioni per il Curricolo del nuovo ministro Giuseppe Fioroni, che rappresentavano, a partire dal settembre 2007, il nuovo manifesto di riferimento per dirigenti, docenti, insegnanti ed addetti ai lavori. relativamente al Progetto-Scuola. Le indicazioni, per la verità, non toccavano i paletti delle strutture del tempo, come previsto dalla legge 53, anche se sembravano orientate, a breve-media distanza, al ripristino del tempo prolungato e alla sua piena applicazione (vedi rientri pomeridiani, mensa, ecc. elusi nella reale applicazione), ma metteva mano ad alcuni elementi del suo percorso, relativi all’organizzazione del curricolo, che ritornava ad essere oggetto della responsabilità dell’autonomia delle scuole e della libertà del docente che venivano subitaneamente rivalorizzate. Le indicazioni non erano rigide, avevano, invece, il valore di suggerimenti da cui partire per impostare il Progetto e sperimentarne il percorso, rinunciavano, intanto, ad alcuni paletti più a rischio e più contestati della legge 53 e fra questi:
- l’ambiguità della figura del tutor, che veniva superata;
- la prolissità dei piani personalizzati e delle unità di apprendimento, che ritornavano ad essere responsabilità del docente e dei consigli di classe nell’organizzazione del curricolo;
- del portfolio, varie volte rivisto, poi inibito, infine “temporaneamente” eliminato;
- delle tabelle degli obiettivi che venivano essenzializzate e quelle delle competenze che venivano, per la prima volta, suggerite, aiutando, quindi, il compito dei docenti;
- della complessa logica dei laboratori che implicavano il rischio della rottura dell’unità della classe e che mal si conciliavano con i mezzi e gli spazi in dotazione delle scuole.
- La riarticolazione dei cicli: Scuola dell’Infanzia e Scuola del Primo ciclo di istruzione che comprendeva sia la scuola Primaria che la Secondaria di Primo grado
- La scansione dei tempi didattici e della valutazione: un tempo unico per la scuola dell’Infanzia; tre tempi per la scuola del primo ciclo di istruzione (fino alla classe terza primaria, fino alla classe quinta primaria, fino alla classe terza secondaria). Per ciascuna di tali tempi erano poste le tabelle dei traguardi delle competenze e degli obiettivi di apprendimento, che diventavano un aiuto concreto per maestri e docenti. I laboratori si traducevano nel concetto di laboratorialità che era un invito a lavorare in maniera dialogica e in simulazione continua di un ambiente di realtà in modo da consentire ad ogni persona di potersi esprimere tramite le proprie risorse e nel segno dello stile della propria identità. La Valutazione guardava al riconoscimento pieno delle identità e dei valori naturali in esse espresse: della persona, del territorio, della scuola stessa in cui si operava. Essa, dunque, guardava alle risorse realmente possedute e non le inibiva, al contrario le incoraggiava ed incentivava attraverso i percorsi; si conciliava, dunque, con i criteri di base di una scuola attiva, operativa, che guardava non ad astratte conoscenze ma alle abilità e alle competenze, privilegiava la laboratorialità, che è il modo della didattica più idoneo a valorizzare i singoli soggetti, i singoli ambienti, le singole situazioni. La Valutazione era vista in una triplice dimensione in cui ciascuno dei singoli momenti si faceva
complice dell’altro: la dimensione del docente, la dimensione dell’Istituto, la dimensione nazionale. La dimensione dell’istituto si esprimeva attraverso la impostazione, anche in rete, di sistemi organici e concreti di autovalutazione; quella nazionale operava attraverso l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione, servendosi dell’ausilio per i momenti di ricognizioni di organizzazioni come l’Invalsi. Dalle Indicazioni Fioroni, che nascevano nel segno della continuità con la legge 53, emergeva una attenzione più concreta e visibile ai principi fondativi della Scuola dell’Autonomia, che sembravano, comunque, essere i punti di riferimento più accreditati per potersi costruire insieme nella nazione ma nel rispetto pieno delle identità e delle risorse dei singoli territori. Si poteva parlare, sotto alcuni aspetti, di una libertà ritrovata.E siamo ai giorni nostri, è il crepuscolo del settembre 2008, la cronaca sia giornalistica che televisiva è stracolma di notizia riguardanti l’Alitalia, in spazi marginali sono posate le news riguardanti la scuola, che, grazie al suo nuovo ministro, sta vivendo un momento di strisciante restaurazione. Mentre è ancora infante e da comprendere la legge 53, mentre sono ancora da concludere i due anni di sperimentazione delle Indicazioni Fioroni, Mariastella Gelmini, complice del sistema di potere di cui è emanazione, viene a sconvolgere in maniera radicale i punti di riferimento base del sistema di istruzione primaria, ventilando una soppressione dei moduli e la relativa reintroduzione del maestro unico; la “resurrezione” del voto in condotta e le relative penalità che essa prevede; il ripristino, sia pure consigliato (e meno male!), del grembiule, per avere una certezza ancora maggiore dell’essere conformati ad un sistema educativo che decide, per ognuno di noi, anche quale abito indossare. Di per sé il grembiule non è un danno, ma lo diventa per il significato simbolico che nasconde: si vuole un modello di società il cui prodotto è un individuo completamente conformato, asservito a delle regole obsolete e privative della libertà, della creatività, delle identità individuali. Per quanto riguarda i moduli, non è inopportuno ricordare che essi avevano visto la luce per garantire meglio la continuità educativa in tutta l’area della scuola di base. E, tanto per concludere, non si dimentichi che il sistema scolastico primario in Italia è tra i più accreditati in Europa e nel mondo per redditività; se mai qualcosa da rivedere ci sarebbe negli ordini di scuola successivi e con particolare riferimento alla secondaria di secondo grado.
- si era universalizzata nei modi di essere e di concepire l’esistenza;
- si era appiattita su un vacuo conformismo di dimensione globale;
- erano cambiati i modelli di comportamento culturale;
- era cambiato il costume sociale;
- erano cambiati la concezione e l’uso del tempo libero, condizionati da un consumismo irrefrenabile;
- era cambiato il modo di esercitare la politica, si erano confuse tra di loro le classi sociali (vedi sistema delle polarizzazioni);
- al sentimento religioso si era sostituita la religiosità del mito del successo e del benessere;
- la televisione e la pubblicità avevano creato nuovi archetipi, che avevano soppiantato i valori tradizionali che inducevano a un modello di vita dominato dall’edonismo sfrenato e dal materialismo degli atteggiamenti nella vita quotidiana;
- si erano modificati i ruoli e le funzioni all’interno della famiglia che si era arresa ai nuovi canoni culturali e comportamentali, fondati su una presunta libertà dell’essere, che sfociava sempre più frequentemente in un incontenibile relativismo e nella confusione dei ruoli uomo-donna, padre-madre, docente-discente, cosa di cui risentivano, in primo luogo, i figli;
- l’economia era diventata il punto di riferimento della crescita e dello sviluppo in dimensione planetaria; si era gradualmente sostituita a tutti i precedenti valori morali e sociali, che mai come allora avevano vissuto una crisi tanto preoccupante;
- erano cambiati i rapporti sociali all’interno della scuola: le nuove generazioni non erano più supine e arrendevoli agli eventi culturali e alle decisioni relative alle scelte; erano propositive, invece, di nuovi modelli di comportamento, erano conduttrici di valori alternativi difficilmente conciliabili con i modi comuni di essere (pacifismo, ambientalismo, volontariato, obiezione di coscienza e via dicendo).
Nasceva e cresceva in questo clima la Legge Moratti, che veniva a soppiantare, all’improvviso, la “quasi attuata” Riforma Berlinguer. La L. 53 mirava al tentativo organico di disegnare l’identikit dell’uomo idoneo a sopravvivere in un modello di società le cui coordinate fondamentali risultavano essere quelle sopra rapidamente e schematicamente delineate. Era una Riforma che, per certi aspetti, dopo una prima percezione sommaria, faceva pensare a cose già viste, già fatte, come:
- Individualizzazione
- Unità didattiche
- Laboratori
- Portfolio
In realtà tutto questo nella L. 53 veniva confezionato in un sistema organico progettuale: la sua impiantazione comprendeva paletti ben definiti di tempi e di modi, presentati all’interno dei Vincoli e delle Risorse. Tali paletti - come emergeva dalle risultanze della sperimentazione, avvenuta in quegli ultimi anni, e come, d’altra parte, si evinceva dal contesto sociale che sembrava essere spaccato in due rispetto alle ipotesi della Riforma - erano interpretabili in un primo modo:
- Personalizzazione
= Valorizzazione dei singoli individui;
- Tutorialità = Accoglienza, cura, guida, accompagnamento dei singoli alunni, cura dei rapporti con le famiglie;
- Portfolio
= Valorizzazione delle competenze e promozione dell’autoconoscenza;
- Laboratorio
= Promozione degli aspetti sociali ed operativi della conoscenza e del sapere = cultura delle abilità e delle competenze;
E in un secondo modo:
- Personalizzazione = pericolo di deresponsabilizzazione dei docenti = possibilità di invito ad un tipo di discriminazione culturale già visto al tempo dell’introduzione della Scuola di Avviamento che rappresentava una alternativa agli sbocchi professionali aperti dalla Scuola Media;
- Tutorialità = prevalenza temporale accentuata per un docente e possibilità di discriminazione all’interno del team dei docenti;
- Portfolio = produzione inutile di una raccolta di documenti da affidare agli archivi come già accaduto in occasione di precedenti esperienze o esperimenti di questo tipo;
- Laboratorio = percepibile da molti addetti ai lavori come neo-doposcuola per le attività leggere, come attività di serie “B”.
Certo è che tale Legge di riforma della scuola, sin dai suoi primi rigurgiti, induceva quanto mai alla riflessione sull’uomo e sulla società, stuzzicava le domande possibili sulle possibilità dell’Essere oggi. Intanto i dubbi che essa suscitava negli addetti ai lavori, nella famiglia, nella società, nel contesto economico e culturale evidenziavano alcuni punti di possibile ambiguità: essa sembrava orientata ad una sia pure inconscia accettazione/esaltazione di quel modello di società, per altri aspetti sconcertante, i paletti posti sembravano essere troppo rigidi, limitanti la libertà di insegnamento che era da sempre una delle prerogative previste per il docente, l’uomo stesso sembrava essere utilizzato quasi come il pezzo dell’ingranaggio di un sistema (vedi i riferimenti a inglese, informatica, impresa e il cedimento nel monte ore della lingua francese e delle discipline letterarie) che aveva ormai rinunciato ad alcuni punti di riferimento etico legati alla tradizione culturale, morale e religiosa. Il mutamento dello scenario politico, dovuto alla sconfitta nelle elezioni del 2006 del Polo della Libertà ad opera del Centro-Sinistra, faceva scattare nuovi meccanismi di riflessione sul mondo della scuola e sui suoi disagi manifesti o latenti che trovavano la loro concretizzazione nelle Indicazioni per il Curricolo del nuovo ministro Giuseppe Fioroni, che rappresentavano, a partire dal settembre 2007, il nuovo manifesto di riferimento per dirigenti, docenti, insegnanti ed addetti ai lavori. relativamente al Progetto-Scuola. Le indicazioni, per la verità, non toccavano i paletti delle strutture del tempo, come previsto dalla legge 53, anche se sembravano orientate, a breve-media distanza, al ripristino del tempo prolungato e alla sua piena applicazione (vedi rientri pomeridiani, mensa, ecc. elusi nella reale applicazione), ma metteva mano ad alcuni elementi del suo percorso, relativi all’organizzazione del curricolo, che ritornava ad essere oggetto della responsabilità dell’autonomia delle scuole e della libertà del docente che venivano subitaneamente rivalorizzate. Le indicazioni non erano rigide, avevano, invece, il valore di suggerimenti da cui partire per impostare il Progetto e sperimentarne il percorso, rinunciavano, intanto, ad alcuni paletti più a rischio e più contestati della legge 53 e fra questi:
- l’ambiguità della figura del tutor, che veniva superata;
- la prolissità dei piani personalizzati e delle unità di apprendimento, che ritornavano ad essere responsabilità del docente e dei consigli di classe nell’organizzazione del curricolo;
- del portfolio, varie volte rivisto, poi inibito, infine “temporaneamente” eliminato;
- delle tabelle degli obiettivi che venivano essenzializzate e quelle delle competenze che venivano, per la prima volta, suggerite, aiutando, quindi, il compito dei docenti;
- della complessa logica dei laboratori che implicavano il rischio della rottura dell’unità della classe e che mal si conciliavano con i mezzi e gli spazi in dotazione delle scuole.
- La riarticolazione dei cicli: Scuola dell’Infanzia e Scuola del Primo ciclo di istruzione che comprendeva sia la scuola Primaria che la Secondaria di Primo grado
- La scansione dei tempi didattici e della valutazione: un tempo unico per la scuola dell’Infanzia; tre tempi per la scuola del primo ciclo di istruzione (fino alla classe terza primaria, fino alla classe quinta primaria, fino alla classe terza secondaria). Per ciascuna di tali tempi erano poste le tabelle dei traguardi delle competenze e degli obiettivi di apprendimento, che diventavano un aiuto concreto per maestri e docenti. I laboratori si traducevano nel concetto di laboratorialità che era un invito a lavorare in maniera dialogica e in simulazione continua di un ambiente di realtà in modo da consentire ad ogni persona di potersi esprimere tramite le proprie risorse e nel segno dello stile della propria identità. La Valutazione guardava al riconoscimento pieno delle identità e dei valori naturali in esse espresse: della persona, del territorio, della scuola stessa in cui si operava. Essa, dunque, guardava alle risorse realmente possedute e non le inibiva, al contrario le incoraggiava ed incentivava attraverso i percorsi; si conciliava, dunque, con i criteri di base di una scuola attiva, operativa, che guardava non ad astratte conoscenze ma alle abilità e alle competenze, privilegiava la laboratorialità, che è il modo della didattica più idoneo a valorizzare i singoli soggetti, i singoli ambienti, le singole situazioni. La Valutazione era vista in una triplice dimensione in cui ciascuno dei singoli momenti si faceva
complice dell’altro: la dimensione del docente, la dimensione dell’Istituto, la dimensione nazionale. La dimensione dell’istituto si esprimeva attraverso la impostazione, anche in rete, di sistemi organici e concreti di autovalutazione; quella nazionale operava attraverso l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione, servendosi dell’ausilio per i momenti di ricognizioni di organizzazioni come l’Invalsi. Dalle Indicazioni Fioroni, che nascevano nel segno della continuità con la legge 53, emergeva una attenzione più concreta e visibile ai principi fondativi della Scuola dell’Autonomia, che sembravano, comunque, essere i punti di riferimento più accreditati per potersi costruire insieme nella nazione ma nel rispetto pieno delle identità e delle risorse dei singoli territori. Si poteva parlare, sotto alcuni aspetti, di una libertà ritrovata.E siamo ai giorni nostri, è il crepuscolo del settembre 2008, la cronaca sia giornalistica che televisiva è stracolma di notizia riguardanti l’Alitalia, in spazi marginali sono posate le news riguardanti la scuola, che, grazie al suo nuovo ministro, sta vivendo un momento di strisciante restaurazione. Mentre è ancora infante e da comprendere la legge 53, mentre sono ancora da concludere i due anni di sperimentazione delle Indicazioni Fioroni, Mariastella Gelmini, complice del sistema di potere di cui è emanazione, viene a sconvolgere in maniera radicale i punti di riferimento base del sistema di istruzione primaria, ventilando una soppressione dei moduli e la relativa reintroduzione del maestro unico; la “resurrezione” del voto in condotta e le relative penalità che essa prevede; il ripristino, sia pure consigliato (e meno male!), del grembiule, per avere una certezza ancora maggiore dell’essere conformati ad un sistema educativo che decide, per ognuno di noi, anche quale abito indossare. Di per sé il grembiule non è un danno, ma lo diventa per il significato simbolico che nasconde: si vuole un modello di società il cui prodotto è un individuo completamente conformato, asservito a delle regole obsolete e privative della libertà, della creatività, delle identità individuali. Per quanto riguarda i moduli, non è inopportuno ricordare che essi avevano visto la luce per garantire meglio la continuità educativa in tutta l’area della scuola di base. E, tanto per concludere, non si dimentichi che il sistema scolastico primario in Italia è tra i più accreditati in Europa e nel mondo per redditività; se mai qualcosa da rivedere ci sarebbe negli ordini di scuola successivi e con particolare riferimento alla secondaria di secondo grado.