In un’epoca dominata dall’informatizzazione del tutto, in un’epoca in cui si naviga fra schede e microprocessori, in un’epoca in cui il valore del “sentimento” è stato definitivamente ridimensionato al cinico mercato degli interessi, del potere, del danaro, in un’epoca in cui i cuori sono schiacciati nella solitudine più radicale, l’inesistenza dell’Essere, privato dei suoi punti di riferimento più alti, non può che parafrasare “inessenze”, vuoti esistenziali, “sogni nevralgici” di immagini sagomate, ridotte a scheletri marmorei di un tempo dell’anima, ormai negato, seppellito da caotici eventi. E il poeta non può più “evocare” se non la verità del dramma, la verità della frattura, la verità assoluta dell’impotenza, la verità della paralisi, la verità di una “parola” naturalizzatasi al segmento, all’attimo, la verità della rottura della continuità del discorso, ridimensionato a frammenti di pause, di sussulti, di enigmatici salti di umori e di sentimenti, di ansie di amori impossibili. E dominante diventa il lessico dell’alternativa al vivere reale: “Invisibile presenza” – “Riappaiono fantasmi” – “E divoro la tua mente” – “Odori di pensieri” – “Sagome di ricordi” – “Ombelicali sentieri” – “Fra allusioni di inibite emozioni” – “La sua immagine di sogno” – “L’inerzia del pensiero drogato di nulla” – “Nel tuo involucro umano sei solo materia”. La sola speranza di vita è nel recupero della libertà, nel bagno dentro al “logos” dell’io, riesumato alla propria identità, sciolto dalla schiavitù della censura dei desideri radicali più avvertiti. Così la “parola”, unico “segno incarnato”, si fa testimone definitivo di presenze pensate come reali, perché realmente avvertite e vive, vive nel corpo e in tutto il loro essere. La parola, quindi, segno unico dell’unica “essenza possibile": il sogno.