Questo afferma Italo Calvino in "Le città invisibili", uno dei suoi romanzi più celebri: «A Olinda, chi ci va con una lente e cerca con attenzione può trovare da qualche parte un punto non più grande d'una capocchia di spillo che a guardarlo un po' ingrandito ci si vede dentro i tetti le antenne i lucernari i giardini le vasche, gli striscioni attraverso le vie, i chioschi nelle piazze, il campo per le corse dei cavalli. Quel punto non resta lì: dopo un anno lo si trova grande come un mezzo limone, poi come un fungo porcino, poi come un piatto da minestra. Ed ecco che diventa una città a grandezza naturale, racchiusa dentro la città di prima: una nuova città che si fa largo in mezzo alla città di prima e la spinge verso il fuori. Olinda non è certo la sola città a crescere in cerchi concentrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano d'un giro. Ma alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da cui spuntano rinsecchiti i campanili le torri i tetti d'embrici le cupole, mentre i quartieri nuovi si spanciano intorno come da una cintura che si slaccia. A Olinda no: le vecchie mura si dilatano portandosi con sé i quartieri antichi, ingranditi mantenendo lproporzioni su un più largo orizzonte ai confini della città; essi circondano i quartieri un po' meno vecchi, pure cresciuti di perimetro e assottigliati per far posto a quelli più recenti che premono da dentro; e così via fino al cuore della città: un'Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conserva i tratti e il flusso di linfa della prima Olinda e di tutte le Olinde che sono spuntate una dall'altra; e dentro a questo cerchio più interno già spuntano - ma è difficile distinguerle - l'Olinda ventura e quelle che cresceranno in seguito».
Le parole del grande scrittore attraversano, come una lama l'anima dell'uomo contemporaneo e feriscono tanto la mia da indurla a pensare profondamente, a pensare in un modo migliore e diverso, a pensarmi insomma. Chi è, in realtà, Olinda? Di certo non è riferibile alla splendida località brasiliana. Se non quest'ultima, dunque, chi sta a rappresentare Olinda? Che rapporto si può riscontrare tra la stessa, l'uomo e la città contemporanei? La città-simbolo, evocata da Italo Calvino in “Le città invisibili, è il luogo, un luogo, il punto di partenza, il punto di arrivo di sempre. Olinda è la spirale del tempo, è l’architettura della terra, di questo mondo. Non c’è punto di quanto esiste che non contenga questo punto, è il punto generatore di tanti altri punti, uno sempre più grande intorno a quello più piccolo e così all’infinito. Nell’Olinda di oggi, a guardare con attenzione, si possono distinguere le diverse fasi del suo farsi e disfarsi, del suo crescere ed estendersi, ma anche del suo odifferenziarsi di tempo in tempo, di luogo in luogo, di popolo in popolo, di generazione in generazione, di civiltà in civiltà: ognuna delle sue fasi è rigenerabile a partire da quanto era un punto estremamente piccolo, quasi invisibile, fino all’estrema estensione e complessità dell’oggi. E’ il tempo che genera il tempo, è lo spazio che genera lo spazio, è la città che genera la città, è la città che genera l’uomo stesso e ne definisce in modo estremo i confini sia di tempo che di spazio, ma anche i confini del pensiero e dell’essere. Di Olinda ce ne sono parecchie nell’interezza dello spazio, esse sono diverse ed uguali e, mentre ognuna genera e rigenera se stessa, si generano e rigenerano insieme, si riflettono, in maniera speculare, negli stessi schemi, negli stessi simboli, ubbidiscono alle stesse leggi della piazza, della strada, delle case, dei tetti, dei camini, dei lucernari, delle vasche: simboli questi che si ripetono e si rinnovano e rinnovano, ripetendolo, l’uomo che con tali simboli convive. A radiografare
Olinda, si ha la possibilità di vedere nel nuovo gli scheletri rinsecchiti del passato, si ha quindi l’allucinante possibilità di vedere il proprio scheletro, di vedersi come scheletro. In alcune Olinde tale passato rimane confinato come in un limbo distinguibile al centro di tanti altri confini, che si allargano, di volta in volta, intorno al primo; in altre, estendendosi esse nel tempo, nuove strutture si mescolano alle vecchie, stritolandole, soffocandole fra nuove immagini, fra nuovi schemi, fra nuove strutture, con nuovi materiali e alchimie edilizie ed urbanistiche. Olinda, di per sé, ha il pregio di rispettare gli scheletri del primo cerchio e di confinarli, come tali, in un tempo indefinito, ma come scheletri. Olinda è il luogo proiettato nel tempo, è il luogo che contiene passato e presente e prefigura il futuro. Non c’è futuro se non come passato che si ripete. Olinda è l’eternità di tempo e di spazio, è l’eternità dell’evolversi apparente di cultura e di civiltà. Olinda è la città, che nasce dalla grotta primitiva e diventa palafitta e villaggio, poi metropoli, infine megalopoli, forse poi città galattica, e così via. Olinda è il luogo di vita dell’uomo, Olinda è il recinto, è il pascolo in cui spazio e tempo si confondono, mentre si intrecciano al pensiero, alle azioni, ai sentimenti e alle passioni, alle emozioni. Olinda è l’emblema più estremo dell’esistenza dove corpo e spirito dell’uomo diventano materia e mercato del vivere, dove l’uomo medesimo diventa pietra fra le pietre, struttura dentro alle strutture della città. Olinda è lo spazio-recinto, è lo spazio creante, ma anche limitante, a volte soffocante, inibente l’ identità, è aborto e mortificazione dei sentimenti e degli orizzonti senza limiti possibili. Olinda è la potenza dell’uomo che diventa potere, ma ne è anche il limite: in Olinda l’uomo nega a se stesso la possibilità di sfondare i limiti del finito.
“Lente”, “tetti”, “antenne”, “vasche”, “striscioni”, “vie”, “chiostri”, “piazze” sono parole del nostro tempo, linguaggio del nostro tempo, chi le usa è
uomo, è scrittore del nostro tempo, è contemporaneo, ma la cui mente è proiettata contemporaneamente nel passato e nel futuro. Lo spirito incalzante, che emerge dal racconto, è spirito del nostro tempo, o di un tempo a noi molto vicino, insomma non molto lontano. Il realismo descrittivo è riconoscibile fra le pieghe narrative ed è realismo del nostro tempo, realismo del 900, forse neorealismo, ma di una fase più avanzata, più matura di se stesso in quanto tinteggiato di aspetti surrealistici, quasi fantastici: emerge dall’insieme la visione critica, oserei dire drammatica, dell’angoscia esistenziale del nostro tempo che attanaglia l’uomo intelligente, lo chiude in un labirinto di schemi, di finzioni di libertà e lo fa sentire emarginato dagli altri e da se stesso, lo fa sentire un punto smarrito nel tempo e nello spazio, un’astronave senza meta, senza pilota, un giocattolo nelle mani della storia, che ripete se stessa, ripetendo le logiche di sempre nelle apparenti mutazioni della “cosiddetta Olinda”. Olinda è il centro-storico di tale uomo e in questo tempo, è l’emblema della sua stessa anima, del suo spirito, della sua identità rinsecchiti negli anni, scheletriti fra muri di cemento e strade lastricate di asfalto, fra antenne che scrutano e interpretano, e grattacieli, alcuni più alti di altri, altri alti fino al cielo, irraggiungibili, e, poi, case piccole-piccole, minuscole, invisibili, impercettibili, emarginate negli sconfinati deserti delle periferie, soffocate dallo smog e dai rifiuti di Olinda.
Nel testo di Calvino - posto in premessa di questo mio breve saggio - tendono a prevalere la ricerca teorica e il gusto per un sottile gioco dell’intelletto. Alcuni elementi fanno emergere con evidenza estrema, da parte dell’autore, un solido legame con la realtà, da cui scaturisce, nel contempo, una incredibile fedeltà alla ricerca razionale e all’impegno di riflessione su tutta la storia dell’uomo. Questa visione realistica del mondo convive con il piacere e il divertimento del fantasticare e con l’esercizio in cui la mente per intero si mette in gioco, ma che non si conclude in un gioco di vacua o sofisticata intellettualità. E’ un invito continuo e misurato a riflettere con maggiore acume intellettivo sull’uomo e sui grandi misteri del mondo e della vita, della società, ma evitando, nel contempo, il rischio possibile, come spesso nella letteratura accade, di cadere, di crollare nell’inutile astrattezza o nell’esasperazione di una ragione che non è più se stessa. Lo stile dell’esposizione appare sempre coerente, limpido ed elegante, tale da essere in ogni momento illuminante nelle diverse sfaccettature del testo, le quali, in alcuni frammenti, diventano esasperatamente analitiche e descrittive nel tentativo di cogliere le situazioni e le atmosfere a volte fantastiche e surreali. La sintassi è molto semplice, chiara, lineare, puntuale, rispetto al contesto; il linguaggio è attento alle sfumature dei significati, degli aspetti più minuti, più semplici e più immediati del racconto.
Insomma tutto il testo sembra essere attraversato da motivi sia di tono realistico che fantastico che continuamente si intrecciano e si fondono fino a rendere meno crude e innocenti le tragedie della vita: l’incapsulamento dell’uomo in una grande sfera di cristallo e la sua perduta libertà, lo smarrimento nel vedersi vagare in un mondo, in una città, in una Olinda incomprensibile, non a dimensione dell’uomo stesso, perduto (definitivamente?) nel vuoto ontologico. Il testo sembra avere in alcuni punti in particolare una strana analogia tematica con il film “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick.
Le parole del grande scrittore attraversano, come una lama l'anima dell'uomo contemporaneo e feriscono tanto la mia da indurla a pensare profondamente, a pensare in un modo migliore e diverso, a pensarmi insomma. Chi è, in realtà, Olinda? Di certo non è riferibile alla splendida località brasiliana. Se non quest'ultima, dunque, chi sta a rappresentare Olinda? Che rapporto si può riscontrare tra la stessa, l'uomo e la città contemporanei? La città-simbolo, evocata da Italo Calvino in “Le città invisibili, è il luogo, un luogo, il punto di partenza, il punto di arrivo di sempre. Olinda è la spirale del tempo, è l’architettura della terra, di questo mondo. Non c’è punto di quanto esiste che non contenga questo punto, è il punto generatore di tanti altri punti, uno sempre più grande intorno a quello più piccolo e così all’infinito. Nell’Olinda di oggi, a guardare con attenzione, si possono distinguere le diverse fasi del suo farsi e disfarsi, del suo crescere ed estendersi, ma anche del suo odifferenziarsi di tempo in tempo, di luogo in luogo, di popolo in popolo, di generazione in generazione, di civiltà in civiltà: ognuna delle sue fasi è rigenerabile a partire da quanto era un punto estremamente piccolo, quasi invisibile, fino all’estrema estensione e complessità dell’oggi. E’ il tempo che genera il tempo, è lo spazio che genera lo spazio, è la città che genera la città, è la città che genera l’uomo stesso e ne definisce in modo estremo i confini sia di tempo che di spazio, ma anche i confini del pensiero e dell’essere. Di Olinda ce ne sono parecchie nell’interezza dello spazio, esse sono diverse ed uguali e, mentre ognuna genera e rigenera se stessa, si generano e rigenerano insieme, si riflettono, in maniera speculare, negli stessi schemi, negli stessi simboli, ubbidiscono alle stesse leggi della piazza, della strada, delle case, dei tetti, dei camini, dei lucernari, delle vasche: simboli questi che si ripetono e si rinnovano e rinnovano, ripetendolo, l’uomo che con tali simboli convive. A radiografare
Olinda, si ha la possibilità di vedere nel nuovo gli scheletri rinsecchiti del passato, si ha quindi l’allucinante possibilità di vedere il proprio scheletro, di vedersi come scheletro. In alcune Olinde tale passato rimane confinato come in un limbo distinguibile al centro di tanti altri confini, che si allargano, di volta in volta, intorno al primo; in altre, estendendosi esse nel tempo, nuove strutture si mescolano alle vecchie, stritolandole, soffocandole fra nuove immagini, fra nuovi schemi, fra nuove strutture, con nuovi materiali e alchimie edilizie ed urbanistiche. Olinda, di per sé, ha il pregio di rispettare gli scheletri del primo cerchio e di confinarli, come tali, in un tempo indefinito, ma come scheletri. Olinda è il luogo proiettato nel tempo, è il luogo che contiene passato e presente e prefigura il futuro. Non c’è futuro se non come passato che si ripete. Olinda è l’eternità di tempo e di spazio, è l’eternità dell’evolversi apparente di cultura e di civiltà. Olinda è la città, che nasce dalla grotta primitiva e diventa palafitta e villaggio, poi metropoli, infine megalopoli, forse poi città galattica, e così via. Olinda è il luogo di vita dell’uomo, Olinda è il recinto, è il pascolo in cui spazio e tempo si confondono, mentre si intrecciano al pensiero, alle azioni, ai sentimenti e alle passioni, alle emozioni. Olinda è l’emblema più estremo dell’esistenza dove corpo e spirito dell’uomo diventano materia e mercato del vivere, dove l’uomo medesimo diventa pietra fra le pietre, struttura dentro alle strutture della città. Olinda è lo spazio-recinto, è lo spazio creante, ma anche limitante, a volte soffocante, inibente l’ identità, è aborto e mortificazione dei sentimenti e degli orizzonti senza limiti possibili. Olinda è la potenza dell’uomo che diventa potere, ma ne è anche il limite: in Olinda l’uomo nega a se stesso la possibilità di sfondare i limiti del finito.
“Lente”, “tetti”, “antenne”, “vasche”, “striscioni”, “vie”, “chiostri”, “piazze” sono parole del nostro tempo, linguaggio del nostro tempo, chi le usa è
uomo, è scrittore del nostro tempo, è contemporaneo, ma la cui mente è proiettata contemporaneamente nel passato e nel futuro. Lo spirito incalzante, che emerge dal racconto, è spirito del nostro tempo, o di un tempo a noi molto vicino, insomma non molto lontano. Il realismo descrittivo è riconoscibile fra le pieghe narrative ed è realismo del nostro tempo, realismo del 900, forse neorealismo, ma di una fase più avanzata, più matura di se stesso in quanto tinteggiato di aspetti surrealistici, quasi fantastici: emerge dall’insieme la visione critica, oserei dire drammatica, dell’angoscia esistenziale del nostro tempo che attanaglia l’uomo intelligente, lo chiude in un labirinto di schemi, di finzioni di libertà e lo fa sentire emarginato dagli altri e da se stesso, lo fa sentire un punto smarrito nel tempo e nello spazio, un’astronave senza meta, senza pilota, un giocattolo nelle mani della storia, che ripete se stessa, ripetendo le logiche di sempre nelle apparenti mutazioni della “cosiddetta Olinda”. Olinda è il centro-storico di tale uomo e in questo tempo, è l’emblema della sua stessa anima, del suo spirito, della sua identità rinsecchiti negli anni, scheletriti fra muri di cemento e strade lastricate di asfalto, fra antenne che scrutano e interpretano, e grattacieli, alcuni più alti di altri, altri alti fino al cielo, irraggiungibili, e, poi, case piccole-piccole, minuscole, invisibili, impercettibili, emarginate negli sconfinati deserti delle periferie, soffocate dallo smog e dai rifiuti di Olinda.
Nel testo di Calvino - posto in premessa di questo mio breve saggio - tendono a prevalere la ricerca teorica e il gusto per un sottile gioco dell’intelletto. Alcuni elementi fanno emergere con evidenza estrema, da parte dell’autore, un solido legame con la realtà, da cui scaturisce, nel contempo, una incredibile fedeltà alla ricerca razionale e all’impegno di riflessione su tutta la storia dell’uomo. Questa visione realistica del mondo convive con il piacere e il divertimento del fantasticare e con l’esercizio in cui la mente per intero si mette in gioco, ma che non si conclude in un gioco di vacua o sofisticata intellettualità. E’ un invito continuo e misurato a riflettere con maggiore acume intellettivo sull’uomo e sui grandi misteri del mondo e della vita, della società, ma evitando, nel contempo, il rischio possibile, come spesso nella letteratura accade, di cadere, di crollare nell’inutile astrattezza o nell’esasperazione di una ragione che non è più se stessa. Lo stile dell’esposizione appare sempre coerente, limpido ed elegante, tale da essere in ogni momento illuminante nelle diverse sfaccettature del testo, le quali, in alcuni frammenti, diventano esasperatamente analitiche e descrittive nel tentativo di cogliere le situazioni e le atmosfere a volte fantastiche e surreali. La sintassi è molto semplice, chiara, lineare, puntuale, rispetto al contesto; il linguaggio è attento alle sfumature dei significati, degli aspetti più minuti, più semplici e più immediati del racconto.
Insomma tutto il testo sembra essere attraversato da motivi sia di tono realistico che fantastico che continuamente si intrecciano e si fondono fino a rendere meno crude e innocenti le tragedie della vita: l’incapsulamento dell’uomo in una grande sfera di cristallo e la sua perduta libertà, lo smarrimento nel vedersi vagare in un mondo, in una città, in una Olinda incomprensibile, non a dimensione dell’uomo stesso, perduto (definitivamente?) nel vuoto ontologico. Il testo sembra avere in alcuni punti in particolare una strana analogia tematica con il film “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick.