Il poeta Antonio Pellegrino, anche alla quarta raccolta di suoi componimenti poetici – auguri per altra ininterrotta continuità – dedica copertine d’arte: la prima, ed in primo piano, contiene un attraente, appassionato, intimo nudo di donna sola, ripiegato sulle gambe, visto di spalle, in parte celate insieme col
viso volto al cielo di un azzurro cupo, folta e nera è la capigliatura, grigio il corpo con rosee velature tra leggere pennellate di giallo, di verde e di rosa, simbolico giardino. L’ultima di copertina riporta una festosa pagina floreale, quasi a fare da contrapposto alla pena d’amore nella solitudine dell’anima e del corpo nudi. E nel testo, inframmezzate, compaiono due matite di donne viste ancora di spalle, una tempera di altra donna in una notte lunare, molto significativa allo sguardo e alla bocca semiaperta, un’ultima tempera contenente un angolo di piazza senza vita. Attrae l’artistica veste tipografica, disegnata
e voluta dall’Autore, non meno l’introduzione dell’Autore, che si trattiene, didattico di sé e d’altri, sul valore della parola, la più ricca dote della quale l’Ente supremo ha datato l’uomo o, via via, l’uomo stesso, per necessità, se n’è dotato.Senza la parola, il verbum o il logos l’uomo non conoscerebbe il se stesso nella
intimità, meno ancora avrebbe gli strumenti di svelare il sé a se stesso: pensiero, parole, scrittura, arti pittoriche e plastiche. Con il nostro Poeta: -…la parola è evento dell’anima in quanto è capace di riportare
alla visibilità quanto era invisibile o nascosto. E il veicolo della parola è la poesia – e se tale – la solitudine e il deserto ne sono la condizione irrinunciabile –Ma indugiare nella solitudine e nel deserto, non è anche tormentarsi? Non è non vivere? Vero è che il poeta ha la disposizione spontanea a lasciarsi sedurre dalla parola che nel verso assume un valore assoluto. Il verbo sedurre, al di là del significato, lasciarsi condurre, non introduce, quasi sempre, un pensiero forte, a cui fare resistenza, per non lasciarsi sopraffare?Così mi sembra di dover leggere il primo componimento, Vuoti, nel quale, immersi nella solitudine, non può vedersi che il nulla indecifrabile… persone private del pensiero, / negate alla parola, / smarrite nei dedali / di dolorosi silenzi. Ma già in Gocce di Rugiada il poeta sente il rimpianto di stagioni fugaci / memori delle gioie e dei dolori, /… vissute fra calcificate ossa di caverne, / fra pareti verticali di momenti / essudanti memorie. Compare L’Archeologia di immagini. In se stesso non fa l’archeologo, razzola: Mentre razzolo nelle radure dell’anima / ritrovo sapori che credevo sopiti: / riesplodono odori di oleandri e voci di bosco / … Ritrovo per un attimo me stesso: / ci sei tu con me / in mezzo al verde acido dell’autunno, / che mi si scioglie già fra le dita. Ancora più espressivo con le parole, in crescendo, dell’archeologo che guardano, scrutano, scandagliano, esplorano, illuminano, anfratti, guglie, in Gli Occhi della Vita, che gli penetrano, a indagarlo, il suo io che gli fa scrivere: Ed io, a mia volta, / guardo, / guardo smarrito chi mi guarda / e corro, corro veloce, / mentre imploro spazi senza fine.Il lettore si incontra spesso con parole di tristezza, anzi di aguzzo dolore / nel sapersi soli e smarriti / fra i tanti giorni che ancora ignorano / il nostro folle esistere. Quando vede sagome di larici ridotte a scheletro, la sua mente ne legge ansie primitive / cariche di nostalgia. Il nostro poeta l’archeologo del dolore anche a Carnevale quando egli vede che scivolano ora fra le strade, / viscide come serpenti in agguato / gocce di disperazione, / tradotte in finzioni di lacrimevoli sorrisi, / mescolati alle frenetiche sequenze / d’una vita virtuale / mimetizzata nella maschera. Con la chiusa epigrafica, E’ il luogo del solitario dolore. Priva d’ombra di pessimismo e di dolore, leggo la lirica Boccioli di Giglio, nella quale, non
unica, armonia di ritmo, parole che sanno di dolce coinvolgimento, pensieri che ti guidano al sacro, attimi di immersione cosmica, danno il senso delle parole che, tutte, fanno poesia la quale ti penetra nell’anima: Boccioli di giglio, / iridescenti alla luna sorgente, / rubati al tempo / di soli tramontati, / affioranti timidi / fra sontuosi petali di rose, / pronti per un altare. / Cullo qui, / in questa improvvisa immagine, / il silenzio cosmico / d’un attimo rubato al nulla.Torna l’angoscia in Creatura. Il sé a se stesso? Fatto di frammenti, si perde fra le cose, si spaventa di sé, … mentre nel buio del tormento / azzanna i cocci rotti della vita. E c’è chi ha spezzato la vita del gattino Nemo: nel nome, Nessuno, quello che Ulisse disse suo a Polifemo, per il gattino fu la sorte triste: sei ora inerme, / fermo come il tempo, / gli occhi spenti e tristi, / rigido e sporco il pelo, / ferito da mano occulta / … ma sei un bel ricordo, / un caro ricordo, / Nemo. La luna e raggi di luna gli sono di compagnia più del sole al tramonto che gli dà il senso del declino della vita, anche il peso: E’ l’intero peso della mia vita / che si unisce a questo morire del giorno… / Ma sta sorgendo un’altra luna. Pensiero che torna in altro componimento, subito dopo: E’ questo che rimane / della mia vita, / solamente questo, / questo frammento di stelle cadenti / da lune calanti / dopo soli tramontati… Per vivere in solitudine? E’ la luna che gli è cara. E’ tema prediletto: Sono solo ora, / solo come raggio furtivo di luna / che traversa la notte. / E… gli rivolgo nenie, / cullandolo fra le stelle, / mentre smarrito, sonnecchia nel tempo. / E’ dipinto in uno stagno / dove riflette la sua fragile ombra. Con la quale la sua. E con Albe lunari, egli, chiude la raccolta: La corteggio di nuovo la luna / che infrange la notte… / Mi perdo insieme ai voli / dei riflessi colorati del rapido imbrunire, / sospeso come anima vagante… E’ tutto un inseguire sentimenti che gli dolorano dentro. Ed essi sono il terreno nel quale il nostro Poeta ara per rinverdirli. Ha parole semplici per viverli, riviverli in versi, e offrirli ai lettori, pochi o molti che siano. Ma sono suoi, solamente suoi. Esternarli, non è presunzione. E’ primario il bisogno di ricordarli a se stesso, per lasciarne traccia non caduca, anche messaggio per chi di simili sentimenti si nutre (in Annuario 2007, editrice ASMV, Piedimonte Matese (CE), pp.248/250).
Domenico Loffreda
viso volto al cielo di un azzurro cupo, folta e nera è la capigliatura, grigio il corpo con rosee velature tra leggere pennellate di giallo, di verde e di rosa, simbolico giardino. L’ultima di copertina riporta una festosa pagina floreale, quasi a fare da contrapposto alla pena d’amore nella solitudine dell’anima e del corpo nudi. E nel testo, inframmezzate, compaiono due matite di donne viste ancora di spalle, una tempera di altra donna in una notte lunare, molto significativa allo sguardo e alla bocca semiaperta, un’ultima tempera contenente un angolo di piazza senza vita. Attrae l’artistica veste tipografica, disegnata
e voluta dall’Autore, non meno l’introduzione dell’Autore, che si trattiene, didattico di sé e d’altri, sul valore della parola, la più ricca dote della quale l’Ente supremo ha datato l’uomo o, via via, l’uomo stesso, per necessità, se n’è dotato.Senza la parola, il verbum o il logos l’uomo non conoscerebbe il se stesso nella
intimità, meno ancora avrebbe gli strumenti di svelare il sé a se stesso: pensiero, parole, scrittura, arti pittoriche e plastiche. Con il nostro Poeta: -…la parola è evento dell’anima in quanto è capace di riportare
alla visibilità quanto era invisibile o nascosto. E il veicolo della parola è la poesia – e se tale – la solitudine e il deserto ne sono la condizione irrinunciabile –Ma indugiare nella solitudine e nel deserto, non è anche tormentarsi? Non è non vivere? Vero è che il poeta ha la disposizione spontanea a lasciarsi sedurre dalla parola che nel verso assume un valore assoluto. Il verbo sedurre, al di là del significato, lasciarsi condurre, non introduce, quasi sempre, un pensiero forte, a cui fare resistenza, per non lasciarsi sopraffare?Così mi sembra di dover leggere il primo componimento, Vuoti, nel quale, immersi nella solitudine, non può vedersi che il nulla indecifrabile… persone private del pensiero, / negate alla parola, / smarrite nei dedali / di dolorosi silenzi. Ma già in Gocce di Rugiada il poeta sente il rimpianto di stagioni fugaci / memori delle gioie e dei dolori, /… vissute fra calcificate ossa di caverne, / fra pareti verticali di momenti / essudanti memorie. Compare L’Archeologia di immagini. In se stesso non fa l’archeologo, razzola: Mentre razzolo nelle radure dell’anima / ritrovo sapori che credevo sopiti: / riesplodono odori di oleandri e voci di bosco / … Ritrovo per un attimo me stesso: / ci sei tu con me / in mezzo al verde acido dell’autunno, / che mi si scioglie già fra le dita. Ancora più espressivo con le parole, in crescendo, dell’archeologo che guardano, scrutano, scandagliano, esplorano, illuminano, anfratti, guglie, in Gli Occhi della Vita, che gli penetrano, a indagarlo, il suo io che gli fa scrivere: Ed io, a mia volta, / guardo, / guardo smarrito chi mi guarda / e corro, corro veloce, / mentre imploro spazi senza fine.Il lettore si incontra spesso con parole di tristezza, anzi di aguzzo dolore / nel sapersi soli e smarriti / fra i tanti giorni che ancora ignorano / il nostro folle esistere. Quando vede sagome di larici ridotte a scheletro, la sua mente ne legge ansie primitive / cariche di nostalgia. Il nostro poeta l’archeologo del dolore anche a Carnevale quando egli vede che scivolano ora fra le strade, / viscide come serpenti in agguato / gocce di disperazione, / tradotte in finzioni di lacrimevoli sorrisi, / mescolati alle frenetiche sequenze / d’una vita virtuale / mimetizzata nella maschera. Con la chiusa epigrafica, E’ il luogo del solitario dolore. Priva d’ombra di pessimismo e di dolore, leggo la lirica Boccioli di Giglio, nella quale, non
unica, armonia di ritmo, parole che sanno di dolce coinvolgimento, pensieri che ti guidano al sacro, attimi di immersione cosmica, danno il senso delle parole che, tutte, fanno poesia la quale ti penetra nell’anima: Boccioli di giglio, / iridescenti alla luna sorgente, / rubati al tempo / di soli tramontati, / affioranti timidi / fra sontuosi petali di rose, / pronti per un altare. / Cullo qui, / in questa improvvisa immagine, / il silenzio cosmico / d’un attimo rubato al nulla.Torna l’angoscia in Creatura. Il sé a se stesso? Fatto di frammenti, si perde fra le cose, si spaventa di sé, … mentre nel buio del tormento / azzanna i cocci rotti della vita. E c’è chi ha spezzato la vita del gattino Nemo: nel nome, Nessuno, quello che Ulisse disse suo a Polifemo, per il gattino fu la sorte triste: sei ora inerme, / fermo come il tempo, / gli occhi spenti e tristi, / rigido e sporco il pelo, / ferito da mano occulta / … ma sei un bel ricordo, / un caro ricordo, / Nemo. La luna e raggi di luna gli sono di compagnia più del sole al tramonto che gli dà il senso del declino della vita, anche il peso: E’ l’intero peso della mia vita / che si unisce a questo morire del giorno… / Ma sta sorgendo un’altra luna. Pensiero che torna in altro componimento, subito dopo: E’ questo che rimane / della mia vita, / solamente questo, / questo frammento di stelle cadenti / da lune calanti / dopo soli tramontati… Per vivere in solitudine? E’ la luna che gli è cara. E’ tema prediletto: Sono solo ora, / solo come raggio furtivo di luna / che traversa la notte. / E… gli rivolgo nenie, / cullandolo fra le stelle, / mentre smarrito, sonnecchia nel tempo. / E’ dipinto in uno stagno / dove riflette la sua fragile ombra. Con la quale la sua. E con Albe lunari, egli, chiude la raccolta: La corteggio di nuovo la luna / che infrange la notte… / Mi perdo insieme ai voli / dei riflessi colorati del rapido imbrunire, / sospeso come anima vagante… E’ tutto un inseguire sentimenti che gli dolorano dentro. Ed essi sono il terreno nel quale il nostro Poeta ara per rinverdirli. Ha parole semplici per viverli, riviverli in versi, e offrirli ai lettori, pochi o molti che siano. Ma sono suoi, solamente suoi. Esternarli, non è presunzione. E’ primario il bisogno di ricordarli a se stesso, per lasciarne traccia non caduca, anche messaggio per chi di simili sentimenti si nutre (in Annuario 2007, editrice ASMV, Piedimonte Matese (CE), pp.248/250).
Domenico Loffreda