I temi fondamentali della poetica di Antonio Pellegrino sono collocabili nella ricerca delle radici primordiali del “desiderio amoroso inteso come assoluto”e nell’analisi puntigliosa dei motivi che sono alla base del dramma di vivere dell’uomo contemporaneo, che sembra smarrito, privo com’è di qualunque punto di riferimento e chiuso, ermeticamente chiuso, in una attanagliante inquietudine che lo agita continuamente e lo rivolta nel moto perpetuo di una sofferente solitudine, capace di fargli toccare con mano l’evidenza assoluta del vuoto. L’amore, il sentimento per eccellenza, che, dai primordi dei tempi, ha sempre legato l’individuo a se stesso e a tutte le altre creature e cose, è oggi tinto di interessi, abbarbicato nel potere, abbracciato al danaro. E’ proprio l’amore, dunque, ambiguo legame di cielo e di inferno, che chiude nel suo involucro bene e male, sublime ed infinito, che genera nel poeta un costante conflitto, che diventa poi la base scatenante della sua ispirazione, quindi dei suoi versi. Egli insegue con irruenza passioni, amori, speranze, ma, quando crede di averli raggiunti, se li vede sfuggire, li vede perdersi in un inesprimibile vortice, molto simile ad un cosmico buco nero. Allora se ne allontana e si rifugia nel sogno, che è l’altro risvolto della vita, l’unica possibile, perché riesce ad evadere il subdolo e ingannevole gioco delle maschere della quotidianità. E nel sogno il poeta ritrova, per frammenti di tempo, la libertà, il possesso pieno di sé, delle sue passioni più cocenti e coinvolgenti, tutto si personifica in un incrocio continuo di immagini liberate dalla schiacciante censura della ragione. Ma il sogno contraddice la verità della ragione. Esso è, pertanto, proiezione fuggevole dell’anima, è pure esso mutevole come le nubi: e nel poeta ritorna, con il risveglio, l’eterno conflitto con se stesso, quella struggente e malcelata malinconia del vivere che gli fa dire: “Io non ho nulla/ ogni radice è spiantata,/ non ho famiglia/ né paese,/ non ho amici,/ nessun cuore che mi pensi,/ nessun porto che mi attenda.Fanno da corollario all’intero impianto poetico il senso della vita e quello della morte, il senso delle cose, perse, quasi smarrite sotto il velo sinuoso dell’anima, che rimane il grande mistero, mai svelato, dell’esistere. Quelle del Pellegrino sono poesie che scolpiscono del nostro tempo, con feroce stigmaticità, i simulacri della vita, le maschere che fanno da copertura della verità smarrita, dell’infinito disorientamento dell’uomo contemporaneo in un mondo che non ha altri punti di riferimento se non la mercificazione del tutto.
Cosimo Formichella
Cosimo Formichella